L’estate dei miei sedici anni io e lə miə amicə non avevamo nulla da fare, salvo andare sui frangiflutti sotto il castello a chiacchierare, a saltare le buche o a fare il bagno. Detta così sembra il 1800, ma era il 2015.

Nel 2015 avevo appena iniziato a interessarmi di politica, ma gli anni della militanza erano ancora lontani e mi trovavo a venire a patti con la mia sessualità in maniera quasi clandestina: di fatto, nel 2015, una sola persona sapeva. Non avevo fatto un vero e proprio coming out con Noah, migliore amico da anni e mio guardiano della soglia del mondo gay, piuttosto, lui era molto perspicace e io del tutto incapace di nascondere la mia queerness. E con lui mi confidavo.

«Noah, ma secondo te Chiara…».

Neanche mi dava il tempo di finire la frase. «Etero».

Chiara, l’altra migliore amica del momento. Come da perfetto stereotipo queer, lei è stato il mio gay awakening. Per mesi io ero cottissima, fusa, in piena tempesta ormonale, pronta a sposarmi a 16 anni e diventare minore emancipata, mentre lei era allegramente inconsapevole di tutto ciò. Ed era, ovviamente, eterosessuale.

Vedevo Chiara tutti i giorni e il mio segreto iniziava a schiacciarmi.

«Chi se ne frega se non le piaccio» avevo pensato a metà giugno «Lo deve sapere!».

Non sapevo neanche bene cosa dirle, in realtà. Le ragazze mi piacevano, su tutto il resto non avevo alcuna certezza, ma per la mia ansia non c’era tempo di approfondire la questione, Chiara era la mia migliore amica e dunque andava informata. Avevo provato a farglielo capire in tutti i modi, sperando che fosse lei a chiedermelo, ma tanto Noah era perspicace quanto Chiara era scema, quindi il coming out classico era l’unica strada da percorrere.

Quasi a dirmi che il momento era arrivato, mi ritrovavo spesso da sola con lei, rimandando il discorso alla volta seguente, finché a un certo punto, durante un sabato sera passato sui frangiflutti a guardare il mare, il mio cervello deve aver definitivamente ceduto alla pressione, facendomi parlare senza che io me ne rendessi conto.

«Chiara, ti devo parlare. A me piacciono le donne. In particolare mi piaci tu. Lo so che io non ti piaccio, ma volevo dirtelo lo stesso».

Non sapevo bene cosa aspettarmi dalla sua reazione, ma mentre io ero paralizzata e non credevo alle mie stesse parole lei era rimasta in silenzio, e iniziavo a notare un’ombra di dubbio sul suo volto.

«È una cosa che ti dà fastidio?»

«No, guarda, lo so che sono cose normali» e dopo un attimo di silenzio ha aggiunto «Ma ti piacciono le donne nel senso che sei proprio lesbica o ti piaccio io e basta?».

E la tensione ha definitivamente lasciato il mio corpo, mi sono messa a ridere e a dire «Chiara, sono lesbica, ma che hai capito?».

A ripensarci ora, il suo non aver capito subito è stato quasi profetico. Dopo quella volta ho sperimentato definizioni diverse, ho fatto decine di coming out rettificando ogni volta quello precedente, per poi lasciare la definizione del mio orientamento sessuale aperta, dicendomi che se qualcunə dovesse trovare un’etichetta convincente va benissimo, farò un nuovo coming out.

A modo suo, Chiara, la persona meno perspicace del mondo, aveva già capito tutto.