Nato a Schio un quarto di secolo fa, Thomas Belvedere è la mano dietro la matita di aThomics, la mente dietro le strisce di Jurassic Pride, il petto dietro al grembiule di Anacardo. Studia Didattica e comunicazione delle Scienze naturali, insegna inglese come madrelingua e gioca a Quadball (ex Quidditch) nel ruolo di cercatore. Oltre ad aver reso interessante La Falla anche per chi non sa leggere grazie alle sue vignette – una volta al mese dal 2018! -, al Cassero fa attivismo in PeopAll e nel gruppo Scuola e Formazione. Al momento lavora a un piccolo albo, insolitamente serio, che parla dell’affrontare e convivere con la morte dell’umanità.
Per festeggiare l’anno nuovo, ti abbiamo chiesto di rappresentare la nostra redazione. Come hai affrontato l’incarico?
In maniera umoristica, ovviamente: ho cercato di metterci più elementi possibili di ciò che significa partecipare alla Falla: il brainstorming, la correzione bozze, la complessità del lavoro redazionale, con un grande quantitativo di gender e matite. Ho aggiunto una gag dopo l’altra alla stessa maniera con cui si decora un albero di Natale, saturando gli spazi vuoti e ispirandomi un po’ ai lavori di Jacovitti. Il tavolo che ho in mente è quello dell’ufficio cultura al Cassero che usavamo per le riunioni quando sono entrato in redazione (ora ci riuniamo sui divanetti perché siamo diventatə tantissimə). Ci sono un certo numero di inside joke, come il racconto su Mishima che viene propinato a ogni nuova redattrice, o l’ovipositor, un riferimento al primo articolo della Falla che abbia mai letto. Ci sono anche cinque Falle nascoste da cercare, ma occhio all’impostora!
Noto delle costanti nei tuoi fumetti: la fantascienza, i dinosauri e… la schwa.
Mi piace la fantascienza perché permette di giocare con le cose pericolose e un po’ inquietanti: robot, alieni, portali, zoom zap zap, persone di estrema destra. I dinosauri sono fighissimi: da piccolo mia madre mi portava spesso al British Museum dove c’erano gli scheletri giganti e poi amavo il videogioco di Jurassic Park. Ci sono moltissimi libri di divulgazione scientifica sui dinosauri per bambinə, a quanto pare a loro piacciono molto perché rappresentano una forza distruttrice. Per quanto riguarda la schwa, per me il discorso linguistico dietro è molto complicato e avanguardistico: un elemento di rottura che infatti uso come simbolo di apertura alle differenze. Mi piace metterla in contesti strani, perché da un lato fa ridere e dall’altro la normalizza.
Come descriveresti le riunioni della Falla?
Vedo la redazione della Falla come una pozza di cultura: tutte persone che leggono libri, citano filosofə e cartoni giapponesi. È questo ambiente aulico in cui io ho un po’ il ruolo di giullare. Mi ha dato molto collaborare con una redazione che ritengo formata e che lavora con un certo rigore, sia per il mio stile che per la forma mentis (è un formaggio, vero?). Tra l’altro non è facile per me: come vignettista dovrei fare cose veloci e sul momento e invece mi ritrovo a buttar giù pipponi esageratamente lunghi. La mia parte preferita delle riunioni sono i momenti di gossip e i pettegolezzi, quella che amo meno è tutto ciò che accade dalle ventidue in poi: ti dici «adesso sta finendo, fa brutto andare a casa prima» e poi non finisce davvero.
Le vignette che pubblichiamo sono solo poche tra le decine che proponi ogni mese: come fai a essere così prolifico?
Questa è una domanda che pensavo potessi farmi mentre ero sotto la doccia. In genere mi metto il tablet o un foglio bianco davanti: mi frullano per la testa alcune tematiche attuali, sentite in riunione o in giro, da qualche parte. Dopodiché faccio entrare in gioco le mie varie personalità: aiuta molto che faccia in continuazione battute nella vita reale, quindi mi immagino di rispondere in maniera divertente a ipotetiche affermazioni nella mia testa. Mi capita anche di riguardare qualche vecchia striscia e dirmi: «Questa è strana, come mi è venuta in mente?». Un buon consiglio per chi vuole fare vignette è farle in continuazione nella propria testa, come esercizio di problem solving, ovvero trovarsi di fronte a una situazione e pensare «che battuta potrei farci?». Poi ovviamente leggere molte cose divertenti, tipo i miei fumetti.
Quale pensi sia il ruolo di unə vignettista nella lotta per le rivendicazioni LGBTQ+?
È una cosa su cui mi interrogo molto: in base a come si concepisce il senso dell’umorismo e dalla satira cambia il modo in cui si dovrebbero pensare le vignette. Se lo scopo è divulgare, sarebbe da chiedersi se la provocazione sia il metodo giusto: ogni tanto, ad esempio, faccio vignette contro chi vota Lega, ma non penso che leggendole la gente cambi partito; è invece efficace per la denuncia delle oppressioni. Ci sono poi delle strisce molto utili ai fini divulgativi perché possono schematizzare i concetti e dare diverse prospettive su un tema. E ovviamente c’è una questione di sopravvivenza, perché viviamo in un mondo deprimente e l’ironia aiuta; da un lato possiamo sdrammatizzare e tirarci su di morale, dall’altro c’è l’aspetto politico. Ə vignettistə LGBTQ+ in Italia sono pochissimə e hanno scarsa visibilità, è importante che ci siano persone queer a fare ironia sulla comunità e al tempo stesso divulgazione partendo da sé.
Tu dove sei nel poster?
Mi piace di più l’idea di rappresentare la coralità della comunità piuttosto che me stesso. Mi rivedo un po’ in quella che ruba le patatine, la persona che dorme e quella che non si vede – vengo poco in riunione: lunedì c’è PeopAll.
Qual è il tuo dinosauro preferito?
Il brachiosauro, però forse non esiste perché potrebbero averlo assemblato con ossa di altri dinosauri, quindi ci devo pensare – ma questo almeno lo rende un po’ queer. Nelle vignette mi identifico molto nel gallimimus, che è stra-scemo.
Perché mi offri sempre le caramelle?
Ho giurato a me stesso che sarei morto con dei Jelly Beans in tasca.
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