Tutte le grandi infezioni e malattie che hanno colpito l’umanità dalla notte dei tempi hanno impresso le loro cicatrici nella memoria, hanno lasciato il loro ricordo in miti e leggende e hanno dato gran da fare a filosofi, scienziati, sciamani nel trovarne le cause.
Ieri come oggi, ad esempio, la Peste, l’HIV e la Sifilide (o Lue), possono insegnare tanto per quel che concerne la percezione che la società può avere di una malattia.
A.D. 1484. Congiunzione di Giove con Saturno nel segno dello Scorpione: evento, come descritto dagli astrologi dell’epoca, tanto raro nella storia umana quanto portatore di grandi mali allorché si verifica. Ne parlerà Girolamo Fracastoro nel Syphilis sive de morbo gallico (una tra le prime opere dedicate alla Lue e risalente al 1521). Il luminare scorge nelle stelle l’origine del morbo: nella sua interpretazione degli astri Giove si apprestava a definire le sorti del mondo e Saturno, il divoratore dei figli, sarebbe stato la cagione di un morbo nuovo. Non è strano per le scienze, a quell’epoca, collegare le vicende umane con il moto degli astri.
A.D. 1494. Le truppe di Carlo VIII entrano nella penisola italica dirette alla volta della città di Napoli. Secondo le cronache dell’epoca, entrati nei territori della città partenopea i militari spagnoli si dettero a comportamenti licenziosi, lasciando nella popolazione locale un male fino ad allora sconosciuto. Era la Sifilide, o Lue, una “malattia”, secondo i medici dell’epoca, originaria dell’America e sbarcata nel vecchio continente dai marinai al ritorno dalle Indie occidentali.
Marcello Cumano, medico, così descrisse i sintomi: “…diversi uomini d’arme e fantaccini che per il fermento degli umori avevano delle pustole su tutta la faccia e su tutto il corpo. Esse assomigliavano a dei grani di miglio, e di solito comparivano sotto il prepuzio, o sulla parte esterna o sopra il glande, accompagnate da leggero prurito.”
Spostandoci sul piano della percezione sociale, da un lato Paracelso, come altri medici tra i secoli XVI e XIX, definisce la Sifilide la “malattia” inflitta da Dio per punire la decadenza in cui era caduta l’umanità; dall’altro, numerosi sono i poemetti (per citarne uno: I mali venerei di G. Speranza, prima metà XIX sec.) che descrivono le piaghe e le sofferenze di chi ne era affetto, rappresentando questi ultimi come persone di estrazione sociale misera e dediti al peccato della lussuria. Insomma, accanto alla descrizione oggettiva dei sintomi spesso compare, espresso in maniera più o meno esplicita, il giudizio negativo sulla persona e sui suoi presunti comportamenti. Si stava creando l’immaginario del “sifilitico”: miserevole, sporco, peccatore, libidinoso. Un immaginario che marchiava le persone aldilà del fatto che il morbo fosse stato contratto nel postribolo o nel letto coniugale, o che la persona appartenesse al popolo minuto o all’aristocrazia. Il male era il marchio della dea Venere visibile sul corpo, tanto bastava a giudicare.
L’infezione, ancora una volta, serviva al clero affinché alcuni dei comportamenti potessero essere condannati secondo la morale religiosa: il morbo era interpretato come una punizione divina.
Di fronte a tanto stigma, tipico di quella società religiosa e borghese, troviamo personaggi passati alla storia che lo hanno contratto: Casanova, fiero, la definì un male figlio del piacere e di cui portare con orgoglio le ferite; Nietzsche nello stadio avanzato dell’infezione perse il senno (sintomo tipico delle fasi finali); Donizetti, prima di morirne, fu preda di vaneggiamenti e allucinazioni; Guy de Maupassant urlò con orgoglio: “Ho la Sifilide! Finalmente la vera Sifilide!”.
La Sifilide, se da un lato è associata a prostitute, libertini e al popolo minuto, dall’altro è legata a genii assoluti, che vivevano spesso in opposizione alle regole del buon costume o in contesti volutamente borderline (esemplare è il caso di Baudelaire). Queste personalità outsider erano esponenti dell’arte, della musica, della filosofia e forse la follia provocata dall’infezione fu alla base di alcuni dei loro ultimi capolavori. Infine, per il suo essere un’infezione ambigua, legata a Eros e Thanatos, fu spesso [s]oggetto d’arte: la Lue aleggia nel dipinto Eredità I di Munch, in cui compare una madre affranta dal dolore con in braccio un bambino dal volto malaticcio, così come nel Doctor Faustus di Mann, dove l’infezione si presenta nella figura della prostituta Esmeralda, che inizia il protagonista al piacere tragico e alla follia. Caso curioso fu quello di Toulouse-Lautrec, che ritrasse la prostituta che gli aveva trasmesso la Sifilide, nel famoso dipinto At Montrouge (Rosa, la Rouge).
Molto altro è stato scritto nei secoli per quel che concerne la Lue: sesso, morte e corpo sono tematiche che da sempre ci toccano e ci fanno riflettere. Le malattie e le infezioni ricordano all’essere umano che egli ha un corpo, un corpo mortale che soffre e muore, ma che anche vive, lotta e ama. La Sifilide ci insegna come generazioni di uomini hanno dovuto lottare nei secoli per smontare “il marchio del peccato”, una lotta a cui siamo anche oggi chiamati per quel che concerne l’HIV.
pubblicato sul numero 12 della Falla – febbraio 2016
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