Quali immagini appaiono nella nostra mente quando pensiamo alla parola “archivio”? Achille Mbembe, filosofo e teorico del postcolonialismo, descrive l’archivio, secondo l’immaginario comune, come un luogo labirintico, scarsamente illuminato, che sta a metà tra un tempio e un cimitero, intriso di rituali quasi religiosi e di difficile accesso per chi non ne conosce l’esatta procedura. Al suo interno, alla stregua di reliquie, sono conservati documenti, prove e testimonianze di un passato più o meno recente. Mbembe però, come moltə altrə prima e dopo di lui hanno sottolineato, ci fa notare come questi documenti siano in realtà i resti di un processo di selezione ed esclusione e come, di conseguenza, l’archivio sia lontano dall’essere un luogo neutrale e religiosamente votato alla preservazione imparziale della storia: l’archivio ha il potere di stabilire ciò che è degno di essere conservato e ciò che diversamente è destinato all’oblio.

Proprio per questo cercare delle tracce della storia queer all’interno degli archivi tradizionali non è affatto semplice: le soggettività alternative alla norma di genere o sessuale sono storicamente rappresentate all’interno degli archivi istituzionali come interessate dalla criminalizzazione o medicalizzazione, marginalizzate all’interno degli archivi quanto nella società che li ha prodotti.

Come possiamo quindi cercare di ricostruire una nostra storia, una storia queer, se anche la nostra presenza all’interno dei luoghi deputati alla conservazione della memoria è da sempre stata marginalizzata?

Dagli anni Settanta in poi, a seguito delle battaglie per i diritti civili, iniziano a farsi strada le esperienze dei community archives, gestiti dalle stesse comunità che si sentivano escluse dagli archivi istituzionali e che, conseguentemente, percepivano il pericolo di vedere la propria storia dimenticata: le fondatrici del Lesbian Herstory Archives, nato negli anni ’70 a New York, affermarono che l’esigenza urgente dell’archiviazione derivava dal fatto che la storia lesbica stesse «scomparendo tanto velocemente quanto era stata fatta». Con gli stessi intenti di preservazione, nel 1982 nacque a Bologna l’archivio comunitario dell’allora Circolo culturale XXVIII Giugno, oggi Centro di Documentazione Flavia Madaschi del Cassero LGBTQIA+ Center.

È proprio all’interno del Centro di Documentazione che ha preso vita un’iniziativa che invita a riconsiderare ancora in un modo nuovo l’archivio come luogo di partecipazione e condivisione anziché di esclusione: si tratta del progetto Ricordare con Orgoglio, il cui scopo è quello di costruire un archivio digitale collettivo di memoria LGBTQ+ dell’Emilia Romagna. L’archivio digitale nasce proprio dalla consapevolezza che le esperienze, i documenti, le memorie e le storie delle singole soggettività o collettività LGBTQ+ meritino di essere conservate, condivise e diffuse: è riconoscendo l’importanza delle nostre memorie e testimonianze che riconosciamo il valore della nostra storia.

Il progetto si basa su una partecipazione dal basso, attraverso un processo in cui ognunə di noi può contribuire con i propri materiali e ricordi alla narrazione condivisa della comunità: per partecipare, è sufficiente caricare una versione digitale dell’oggetto che s’intende condividere e, compilando la scheda relativa, raccontare la testimonianza ad esso legata. Ogni documento, foto, oggetto, che possa tramandare una storia queer può trovare il suo posto all’interno dell’archivio: da un cartello portato durante un pride a un volantino di un evento a tematica LGBTQ+.

Il progetto “Ricordare con Orgoglio” mira quindi a rivendicare l’archivio come spazio di inclusione, trasformandolo da un luogo di potere ed esclusione a strumento utile a ricostruire e rendere visibile la storia della comunità: contribuire all’archivio significa riconoscere quanto la memoria non possa mai essere neutrale e possa anzi rappresentare un atto di resistenza.  

Per ulteriori informazioni e per partecipare al progetto: https://archiviocollettivomemorialgbt.it/