Mazen nasce 29 anni fa a Tripoli. Fin da subito il suo destino sembra comunicargli che dovrà essere un combattente e che dovrà fare tutto il prima possibile, per evitare che altre persone passino quello che ha vissuto lui. Nasce prematuro, di soli sei mesi, quasi cieco, sopravvivendo alla sua gemella. Al padre, sempre in viaggio per lavoro, comunicano che potrà crescere ma che non è né maschio né femmina. Khunthaa: è il termine locale per ermafrodita. I suoi genitali sono all’apparenza femminili, ma non internamente. È una notizia drammatica, ma ancora più tragica è la morte della gemella. In poco tempo si prende una decisione: due figli maschi ci sono già, questa sarà la femmina.

Ma Mazen è un combattente, non si rassegnerà a quella che è la prima violenza sul suo corpo, la decisione di un genere imposta da altre persone.

Nella sfortuna di vivere in uno stato dittatoriale, designato donna in una cultura in cui la donna è proprietà di chiunque tranne che di sé stessa, ha almeno il privilegio di essere nato in una famiglia benestante che per lunghi periodi vive in altri paesi oltre la Libia – tra cui il paese europeo dove verrà operato agli occhi. Fino ai cinque anni aveva avuto esperienza del mondo solo con l’udito, dai sei anni finalmente può vedere e vedersi. Ma quello che vede di sé non combacia con ciò che sente. Si sente più vicino al genere maschile, i suoi atteggiamenti sono più simili a quelli dei fratelli che a quelli delle altre bambine – se ne rende conto – e non capisce perché mai non possa fare pipì in piedi come gli altri maschi. 

Con l’arrivo dell’adolescenza il suo corpo si fa sentire, compare una peluria decisamente virile sul suo viso. Gli prescrivono ormoni che lo facciano assomigliare il più possibile alla femmina che hanno deciso dovesse essere, ma lui – di nascosto – non li prende. E sempre di nascosto si toglie l’abaya e veste con pantaloni e stivali militari. Chi lo vede lo chiama mustarjila, un termine simile al napoletano masculona: meno dispregiativo di maschiaccia, ma più intenzionale di mascolina.

Al liceo si prende una cotta per una compagna di classe e glielo scrive in un bigliettino. Un semplice gesto che però in Libia, nel 2004, nessun maschio è autorizzato a fare, figuriamoci una femmina! Scoppia il finimondo, a scuola come a casa. I genitori lo ricattano: se vuoi andare all’università devi rigare dritto. Lo tengono controllato e lo obbligano con la forza ad assumere ormoni, molto probabilmente in quantità non controllate medicamente, tanto che dopo qualche anno il suo corpo collassa, ha una gravissima emorragia e rimane in coma un mese.

All’università – dove entra a 16 anni, precocissimo  – di giorno studia e di notte frequenta le chat LGBT+. Quando la famiglia scopre le sue conversazioni con una ragazza, viene picchiato e costretto a sposarsi: per puro caso, o per puntuale destino, riuscirà a evitare il matrimonio a causa di un lutto in famiglia. Questo cambio di programma è un segno: deve continuare a combattere per essere libero di esprimere il suo corpo come lui lo sente. Di notte si arrischia a frequentare locali proibiti, a volte fa il drag king. Poi la scoperta scioccante di essere intersex gli apre la strada a un nuovo obiettivo: lottare perché le persone intersex non siano sottoposte a violenze sul loro corpo.

Nel 2011 scoppia la prima guerra civile in Libia, lì si troverà a combattere apertamente, in strada come nelle istituzioni. Con alcuni compagni fonda un partito che in parlamento ha vita breve, ma che lui sfrutta per proporre una legge che impedisca ai medici e alle famiglie di prendere decisioni sul corpo delle persone intersex.

Dopo essere stato arrestato più volte per aver partecipato a manifestazioni politiche, compare nella black list dell’Isis. Ora non solo la sua vita è in pericolo, ma anche quella della sua famiglia, che riceve continue minacce.

Per questo si auto esilia in Egitto, nell’attesa che si calmino le acque, ma le acque restano tumultuose a tutt’oggi, e da allora non è più tornato a casa. Vive da rifugiato politico in italia, dove continua a combattere per i diritti delle persone trans e intersex. Se gli chiedi come si identifica – maschio, femmina, trans, intersex – risponde che si sente un cocktail di tutto. Vorrebbe che venisse riconosciuto il terzo genere e che chiunque fosse libero/a di scegliere, come lui non ha potuto fare. Per sé, l’unica cosa che ha scelto è il suo nome, che simboleggia la rinascita: la prima goccia di pioggia che fa crescere un fiore nel deserto.