Federica bevve lentamente un sorso.

Matteo tirò una profonda boccata.

Antonio ebbe un potente orgasmo.

Anna chiuse le palpebre pesantemente.

Tutto avvenne esattamente nello stesso momento e non ci sarebbe stato nulla di speciale in quel singolo attimo se Ester, concentrandosi, non fosse riuscita a sentire tutti e quattro. C’era voluto tempo per riordinare le idee nel buio del cassero di Santo Stefano, e altro ancora per imparare a far le domande giuste. Alla fine gli insegnamenti le avevano mostrato un sentiero lastricato di percezioni, immagini e intuizioni. Non sapeva dargli un nome ma si sentiva costantemente su un bagnasciuga e nel suono della risacca riusciva a immaginare cosa stessero facendo le persone che doveva proteggere. Ripetendo i loro nomi li sentiva respirare sulla sua pelle e muoversi, come se stessero dormendo accanto a lei, tirando le coperte nel girarsi. Solo che le lenzuola erano fatte di vento sulla spiaggia e quella sensazione Ester aveva imparato a immaginarla quando lo desiderava. Anche mentre attraversava via Indipendenza, passando poi sotto i portici e imboccando via Altabella.

L’unica cosa con la quale Ester non aveva ancora fatto pace era il tempo. Le settimane erano passate in un lampo e un falso Riccardo continuava a mentire a tutte le persone che lei amava, mentre quello vero era rinchiuso chissà dove. La bambina con la voce da madre era stata chiara: era ancora vivo, ma nulla vietava al suo aguzzino di torturarlo, tormentarlo e tenerlo in prigionia. Doveva solo credere che Riccardo fosse forte, più forte del suo doppio, il più forte di tutti.

Ma il vero terrore era per Anna. Anna era sveglia, molto più sveglia di tutti gli altri e ora aveva accanto una falsa Ester che non poteva beffarla per sempre. Questo ovviamente la rendeva soggetta a incalcolabili rischi. I “doppi”, sempre secondo la bambina, erano pericolosi non tanto per le persone alle quali rubavano l’identità, bensì per quegli affetti che si accorgevano dell’avvenuta sostituzione.

Ester stessa ne era l’esempio più lampante. Nel momento in cui aveva cominciato ad assecondare i propri sospetti era stata scoperta e ridotta in fin di vita da quello che si spacciava per suo figlio, Riccardo. Le persone più in pericolo, quindi, erano Anna e Antonio, mentre gli unici che potevano aiutarla erano Matteo e Federica.

Suonò il campanello dello studio dentistico del primo piano per farsi dare il tiro, poi salì tutte le quattro rampe di scale a piedi, ascoltando il respiro del palazzo. Nel primo pomeriggio non c’era anima viva. Una volta raggiunta la porta, suonò il campanello senza pensarci oltre.

Federica le aprì con in mano un tegame gocciolante avvolto per metà in un panno da cucina. Aveva la faccia di chi ha appena finito di ridere e la sorpresa le increspò appena le sopracciglia. “Ester?”

Dietro di lei due piatti cozzarono nel lavabo, qualcuno chiuse il rubinetto e comparve Matteo, tra il sorridente e il preoccupato. “Mamma?”

Entrambi ci misero un po’ a metterla a fuoco. Non era la donna che conoscevano, questo di sicuro, e le settimane al buio dovevano averla cambiata anche fisicamente. Si abbassò il cappuccio della felpa.

“Ma stai bene?”, Matteo era perplesso. “Rispetto a ieri sembri…”

“Un’altra.” La voce le uscì sicura, così come il primo passo entro la soglia.

Solo quando mise di nuovo piede in quell’appartamento, dove tutto aveva avuto inizio, sentì il suono della risacca dentro di lei. Fu così che la raggiunse con esso il respiro di Riccardo, il suo Ricky, quello vero.

Tre ore più tardi, Federica accese la funzione torcia sul suo smartphone e strinse la mano di Matteo, forte. Ester era stata lucida e ferma, convinta e sobria. Aveva dosato ogni parola con rinnovata forza e attenzione. Ascoltarla raccontare i suoi vaneggiamenti sarebbe stato quasi affascinante, se non fosse che ogni frase era un attentato al buon senso. L’avevano ascoltata e poi assecondata. Erano usciti di casa in un tardo pomeriggio ancora rovente e l’avevano seguita fino a un uscio scardinato in via Guerrazzi. Ovviamente l’avevano pregata di fermarsi più volte, di ragionare, ma a nulla erano valsi i loro sforzi perché Ester procedeva con incrollabile sicurezza. Matteo aveva così dovuto seguirla a tentoni lungo una scalinata che scendeva verso il basso, fin sotto la strada. Avevano continuato a procedere fino a quando vecchie cantine dimenticate, che minacciavano di crollare da un momento all’altro, non avevano divorato il segnale dei loro cellulari. Fu allora che Federica lo prese per mano. Matteo si sentì insignito, grazie a quel contatto, di tutta la sua fiducia.

“Un quarto d’ora al massimo e arriviamo ad Atlantide.”

“Atlantide è stato sgomberato da tempo. Non c’è più niente là dentro.” si lasciò scappare Federica.

Ester fece balenare davanti a loro la luce della sua piccola torcia elettrica.

“Possono sgomberarlo quanto gli pare, ma non togliergli la sua identità.”

“Cioè?”

“Il Cambiamento.”

(13 – continua)

pubblicato sul numero 13 della Falla – marzo 2016