“Benvenuta ad Atlantide.”
Il silenzio che ne seguì rubò ad ogni cosa il suo colore.
“Ma sono viva?”. Ester tremò per lo sforzo, la voce le uscì incredula e rotta. Non realizzò nemmeno quanto fosse assurda la domanda che aveva appena fatto, rimase solo in attesa della risposta, come se si trattasse di un verdetto che veniva deciso in quello stesso istante.
“Sei stata veramente poco viva, nella tua vita, ma ora non potresti essere meno morta di così.”

Qualcosa di dolce, quasi affettuoso, scaldò l’aria rendendo quella frase simile a una carezza materna. Subito Ester cercò la donna con lo sguardo, trovando solo un angolo della stanza più buio degli altri.
Sorprendendo se stessa, Ester tirò fiato e lancio anch’ella una sentenza che risuonò in quel luogo sigillato da mattoni e sprofondato nella polvere.
“Quello che mi ha fatto questo, non è mio figlio, non è Riccardo.” Non riusciva a smettere di pensarci, anche in quel momento.
“No.”
“Lui è vivo?”
“Sì.”
Ester si lasciò cadere contro la parete, chiuse addirittura gli occhi tra le ginocchia molli e la testa leggera. Pianse. Fece male, proprio male, perché ogni singhiozzo era una fitta profonda al torace e le ricordava che era tutto reale. Lei era viva, Riccardo era vivo, quella persona non era Riccardo, Matteo era in pericolo. Qualcuno, qualcosa, li aveva fregati. Il dubbio la stava abbandonando con la stessa delicatezza salvifica con la quale una mano, piccola e delicata, si stava posando sulla sua guancia. La voce la raggiunse molto vicina, nonostante non avesse ancora un volto.

“Se sei forte, Ester, se sei forte la metà di quanto io penso tu sia… allora puoi salvarli tutti.”
Ester aprì gli occhi ma attraverso le lacrime vide solo un viso pallido, piccolo come quello di una bambina che si specchia di notte. La voce si posò sulle sue labbra, vibrando nel suo stesso respiro.
“Se sei già forte, Ester, tornerai da Atlantide molto, ma molto, più forte di prima. Più lontana dalla morte di quanto tu sia mai stata.”

E cominciò a intonare una canzone. Parlava della resistenza, tutti i bambini che erano stati a scuola con Ester la conoscevano.

Federica era la ragazza più felice del mondo.
Non avevano fatto sesso, per niente, ma lui la voleva e lei quasi per sbaglio l’aveva sentito mentre si alzavano ridendo. Baciare Matteo era stato come iniziare una vita da zero, di nuovo. Si era accorta, con il tempo, di suscitare interesse nei ragazzi, di farsi baciare con piacere quando ci provavano in discoteca, di rifiutare con risolutezza tipicamente femminile la loro richiesta di seguirli a casa. Con qualcuno aveva fatto sesso, ovviamente, ma quei pochi avevano cercato “qualcuno come lei” e sapevano cosa stavano desiderando. Gente incontrata via chat nei modi più assurdi, che lei non aveva più cercato. Gli ignari ragazzi delle piste da ballo, dei marciapiedi fuori dai pub, delle feste a casa di amici, vedevano di lei solo una parte di chi era veramente. A Federica, mentire, non sembrava giusto. Non era tanto una questione di illuderli di qualcosa ma una forma intima e bizzarra di orgoglio che la faceva sentire fiera di quello che era in realtà. Così aveva passato gli ultimi tempi, da quando aveva iniziato con il trattamento, a dare per scontato che nessuno l’avrebbe desiderata come ragazza, pur sapendo quello che era stata. Ma chi dimentica il primo bacio? Matteo di sicuro sembrava non ricordarlo, ma lei aveva custodito quel ricordo gelosamente. Ragazzi poco più che bambini che provavano l’uno sull’altro cosa significa baciare. Dopo così tanto tempo il suo primo bacio era tornato a farle visita e Federica quasi si commosse quando sentì che Matteo non era cambiato. L’unica differenza stava nel desiderio di entrambi, che li aveva attraversati come un lampo che illumina anche ciò che prima non volevi vedere.

Ora l’amaro riempiva senza pietà una fila di bicchierini appena usciti dal congelatore. Lei e Matteo non avevano fatto sesso ma non smettevano di bere e ridere, fingendo di toccarsi per caso. Quando lui nel fugace silenzio della cucina si sporse sul tavolo per darle un bacio a stampo sulle labbra, lei nascose lo sguardo seccando in gola il bicchiere che teneva in mano. Nonostante questo sentì incresparsi le labbra e si commosse silenziosamente, senza darlo a vedere, perché non credeva di poter meritare l’amore così presto. E Matteo assomigliava, inesorabilmente, a una storia d’amore.

Fu forse per quello che nessuno di loro due sentì il sordo battere provenire dai muri. Colpi ritmici e cupi, che rimbombavano da lontano. Il cuore stesso del palazzo reclamava la loro attenzione ma si rivolgeva, evidentemente, alle persone sbagliate. Da qualche altra parte, al Cassero, due ragazzi si stavano baciando toccandosi dentro i pantaloni tesi. Uno dei due sentì quel rumore rimbombargli nella testa. Riccardo smise di leccare le labbra di Antonio con uno scattò innaturale, annusando l’aria. Era lui, proprio lui, quello che non doveva sentire quella lontana richiesta di aiuto.

(10 – continua)

pubblicato sul numero 10 della Falla – dicembre 2015