Oh! il coming out, quale argomento più dibattuto ci porta alla mente riflessioni e pareri tra i più vari, contrastanti o in linea con il profilo della “buona persona LGBT+”?
Ci sono coming out fondamentali nella vita di ognuno. Spesso riguardano persone che stimiamo e che vorremmo ci stimassero altrettanto, altre volte riguardano persone conservatrici, per le quali sappiamo che il nostro coming out sarà un fulmine che si abbatterà sull’opinione che avranno di noi da quel momento a seguire. Scegliamo il momento migliore, le parole più adatte, ci facciamo forza e lo diciamo. E poi ci sono coming out che a volte rischiano di non uscire. “Beh, ma adesso non importa”, “dai magari aspetta e vedi un po’…”. Queste alcune delle considerazioni che ho raccolto negli anni in cui il mio personale coming out come donna lesbica con figlia è andato estendendosi sempre di più. E la domanda che più di tutte mi si ripropone a ogni coming out: “Ma tua figlia lo sa?”. O meglio: “Tua figlia sa di te?”.
Non si contesta la padronanza linguistica, ma devo riconoscere che l’uso della parola lesbica ancora scarseggia ampiamente laddove invece dovrebbe essere presente ma… ça va sans dire. Resta il fatto che per molte persone che vivono realtà in cui sono presenti figli o figlie o che solamente si identifichino LGBT+, il coming out con i figli o i bambini non è scontato. A meno che la persona in questione non viva in coppia, situazione in cui è più facilmente prevedibile che il discorso venga affrontato. La realtà è che bambini e bambine continuano a essere la parte di popolazione che “non può capire” e coi quali si rimanda continuamente l’argomento “persone LGBT+”.
Quello che sconcerta di più, però, è che spesso anche le persone LGBT+ con figli rimandano a quando, eventualmente, ci sarà un* compagn* quello che è il proprio coming out! Che sia la tendenza a raffigurarci sempre preferibilmente come coppie? Viene considerata di più facile comprensione la trasposizione eteronormativa di coppia in coppia omosessuale? Così facendo però continuiamo a indirizzare i/le nostri/e figli/e su una logica binaria, o stai di qua o stai di là, dimenticandoci che essere una persona LGBT+ è molto di più che il solo “stare con qualcuno dello stesso sesso”. Il mese scorso la Favolosa Coalizione ha offerto alla città di Bologna diversi workshop, uno dei quali metteva al centro il concetto di s-family. Esso si concentra sulle figure che noi, in quanto individui autodeterminati, scegliamo di includere o meno nella nostra vita, indipendentemente dai vincoli di parentela; persone con le quali creare il nostro personale e indiscutibile concetto di s-. Un concetto fondamentale, dinamico, poiché che non ci sarà mai un modello unico di s-family con il quale indottrinare i bambini di oggi a crearne una uguale domani, o a sentirsi in difetto se non ne riprodurranno un giorno una simile. Riconoscere il proprio valore, indipendentemente dalla situazione sentimentale nella quale ci troviamo, fa di noi delle persone vere.
Un genitore LGBT+, a mio avviso, indipendentemente dalle relazioni che vive, è giusto che si presenti ai propri figli o figlie ogni giorno, nel suo insieme, con pregi e difetti, così com’è. In questo modo non solo insegnerà loro la libertà e l’orgoglio verso se stessi, ma gli donerà i preziosi strumenti della diversità, per essere curioso del mondo e non spaventato, per conoscere e non rifiutare. I bambini vogliono sapere e lo vogliono sapere da noi, non lo vogliono intuire, o sentire spifferare da qualcuno, quasi fosse un indicibile segreto. Aspettano, certo, aspettano quanto noi il momento in cui saremo “pronti” per parlarne, per affrontare il discorso con tutti i dubbi le domande e le perplessità. Ma lo vogliono sapere, prima che qualcuno incominci a buttargli addosso il titolo di adulti; perché le differenze si imparano di più, e si capiscono meglio, da bambini.
Ma allora tua figlia lo sa? Mia figlia l’ha saputo quando sono stata in grado di parlargliene, ci ho messo tanto. Poi una sera, quando eravamo ancora piccole, stavamo gustando insieme una cena cinese, lei mi ha detto:
“Tu mamma quindi non avrai più un fidanzato?”
“No, Nicole, non credo. Un giorno vorrei una fidanzata, però.”
“Ah beh, ok, se ti fa sorridere va bene”.
pubblicato sul numero 11 della Falla – gennaio 2016
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