L’Onda Pride 2019, cinquantesimo anniversario della rivolta di Stonewall, coinvolge 42 città, oltre un terzo dei 111 comuni capoluogo di provincia italiani: una crescita esponenziale che avviene di anno in anno portando a grandi manifestazioni di piazza in ogni angolo del paese.
Da sud a nord la partecipazione è sempre altissima e vede la convergenza di istanze politiche che trovano nel Pride occasione per esprimersi liberamente e coralmente.
Le ragioni dell’accoglienza e il protagonismo delle persone migranti, la protesta contro le forme precarie del lavoro, la volontà di assicurare il pieno godimento delle libertà individuali (dal fine vita all’antiproibizionismo), l’opposizione all’ampliarsi delle diseguaglianze e delle povertà, la richiesta di sistemi di protezione sociale davvero universali si intrecciano con la denuncia del patriarcato, della violenza contro donne, transgender, lesbiche, gay e si arricchiscono in un dialogo spontaneo con i vissuti delle persone non binarie, intersessuali, a-sessuali, bisessuali, con le famiglie omogenitoriali, con la radicalità, oggi del transfemminismo queer e domani chissà, con i percorsi di ogni diverso individuo e degli organismi autogestiti.
Ci si confronta, anche con asprezza, nei mesi che precedono il Pride. Poi ci si ritrova nello stesso serpentone in posizioni diverse e con slogan e mise molto simili. Vagabonde e vagabionde, nomadi dalle idee cangianti, granitiche vestali del bon ton, grasse e secche, tozze e slanciate, barbute ed efebiche, quando si tratta di manifestare mettono in gioco il proprio spirito e il proprio corpo.
Il Pride è una festa combattente, un carnevale politico, una jam-session fatta di voci diverse e di colori, una risata che li seppellirà. Un’idea di società dove tutte e tutti godano delle proprie libertà e fantasie, dove i desideri non vengono nascosti, ma scambiati in reciproca libertà e rispetto.
È qualcosa che rimane dentro alle persone che partecipano per la prima volta e che sentono vibrare qualcosa di sé che non era noto a loro stesse. È una promessa di cambiamento che vuole trovare strada nella vita quotidiana. È un allenamento per non prendere il potere, perché si sa che quando si pensa di averlo agguantato è il potere che poi ti possiede e non offre né gioia né libertà.
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