Sebbene negli anni Venti negli USA il termine “lesbica” risulti poco usato, specie nelle pubblicazioni ufficiali, sappiamo ormai che la storia delle persone queer è più complessa di come ce l’hanno riferita le fonti che il grande pubblico ha avuto per molto tempo a disposizione. 

Chiunque conosca la storia del cinema conosce però da sempre il termine “Lavender Wedding”, che definisce il matrimonio etero solo a favore di pubblico tra due persone queer – usato come copertura per la stampa ma spesso anche sorretto da relazioni ben più complesse, di amicizia e d’amore, chiaramente incomprensibili per il punto di vista binario del mondo etero – incoraggiato dai publicist per le star oggi come ieri a Hollywood. Ma c’è stato un breve momento, agli albori dell’industria, quando il cinema era un posto per pionierə e anticonformistə come Mabel Normand (la cui influenza di comédienne e stuntwoman è oggi riconosciuta nei confronti di leggende come Charlie Chaplin e Buster Keaton), in cui un numero sorprendentemente alto di persone queer ricopriva posizioni di vero potere creativo nel mondo del cinema senza necessariamente cercare di nascondere il proprio orientamento. È in questo periodo che nasce il mito del cosiddetto “sewing circle, definizione allusiva, spesso usata successivamente in senso derogatorio e attribuita a Greta Garbo, che nel tempo è stata adottata dai tabloid per definire il gruppo di donne cui furono attribuiti orientamenti lesbici durante la Golden Era di Hollywood, all’incirca dagli anni Dieci ai Cinquanta. 

Per quanto sia difficile e rischioso attribuire a posteriori identità a persone che non hanno voluto o potuto, nel corso della loro vita, dichiararle spontaneamente almeno al pubblico, è interessante vedere come personalità come Alla Nazimova potessero tenere insieme una reputazione piuttosto nota di queerness – che includeva feste sul Sunset Boulevard che sono materiale da leggenda quasi quanto quelle di George Cukor qualche decennio dopo – con l’essere l’attrice più pagata del cinema nel 1917, che produceva molti dei suoi film, dirigeva e scriveva ai massimi livelli della Silent Era di Hollywood. Le furono attribuite relazioni con un numero impressionante di donne, dall’altrettanto leggendaria scrittrice, costumista e rubacuori Mercedes de Acosta (a proposito della quale la scrittrice lesbica Alice Toklas diceva «Non puoi sbarazzarti di Mercedes a cuor leggero. Lei ha avuto le due donne più importanti degli Stati Uniti», intendendo Greta Garbo ed Eleanor Roosevelt) a Eva Le Gallienne (“LeG”, altra leggenda del teatro e del cinema, famosa per aver interpretato nel 1928 la prima produzione teatrale di Peter Pan in cui il protagonista volava sopra il pubblico), dall’indimenticabile regista apertamente butch Dorothy Arzner alla prima e seconda lavender wife di Rudolph Valentino: Jean Acker e Natacha Rambova. 

Per questo molti chiamano Nazimova “la madre fondatrice della Hollywood Saffica”, ma il suo successo era anche parte di un momento ben preciso del cinema, che ha iniziato solo recentemente a essere studiato in maniera sistematica anche per colpa della scarsa diffusione di massa del cinema muto, dovuta alla difficile reperibilità delle opere. Questa difficoltà ha una molteplicità di cause: l’infiammabilità estrema delle pellicole di allora, unita a precauzioni antincendio ben diverse da oggi, ma anche una mentalità che vedeva il cinema come intrattenimento puro e non come un’arte da preservare, per cui spesso si riutilizzavano le pellicole, le si gettava o le si dimenticava in qualche armadio. La conseguente scomparsa delle opere dei primordi di Hollywood ha quindi contribuito a cancellare dalla memoria anche il momento durato un ventennio circa, in cui le donne, lesbiche  – o anche etero come Alice Guy, vera pioniera del cinema e autrice del primo film femminista della storia, che ha impiegato decenni a recuperare i diritti sui propri film – rappresentavano una massa critica nell’industria che in percentuale non è mai più stata eguagliata. E se Mary Pickford era la persona più influente di Hollywood (la sua capacità di contrattazione era tale che pare abbia cambiato l’equilibrio dei rapporti di lavoro nel settore, contribuendo ad avviare l’era della star del cinema come libera professionista), Alla Nazimova era una vera e propria leggenda, arrivata già famosa dal teatro russo per diventare un’impresaria lesbica d’avanguardia, che veniva descritta in un comunicato stampa del 1918 come «un’autocrate spietata quando dirige le attività degli uomini».

Le carriere di molte di queste donne (non tutte: Arzner lavorò con regolarità per tutta la sua vita e molte di loro continuarono le loro carriere con altre modalità) si assottigliarono fino a scomparire man mano che il sonoro fu introdotto nei film, e la loro memoria come creative e figure fondamentali della cultura popolare, spesso pioniere di tecniche del cinema poi largamente attribuite ad autori maschi, è stata sommersa dal pettegolezzo pseudostorico di testi come Hollywood Babilonia o semplicemente è svanita insieme alla memoria di chi c’era per il disinteresse di critici e storici verso il periodo in questione (spesso persino apertamente ridicolizzato nei decenni immediatamente successivi, pensiamo alla rappresentazione dei divi del muto di un classico come Cantando sotto la pioggia). 

What Is The Sewing Circle? When Queer Women Ruled Hollywood

Sulle ragioni per cui questo avvenne ci sono molte teorie, e il buon vecchio capitalismo è sicuramente uno degli attori principali: l’industrializzazione del cinema e la sua stabilizzazione come settore di successo causarono un’affluenza di uomini interessati a guadagnare e dei loro capitali, segnando il passaggio da un sistema votato all’innovazione e concentrato sulla figura del regista, in cui contava il talento e la capacità di rischiare, a uno più conservativo in cui gli investimenti erano maggiori, le decisioni prese a tavolino e su tutto comandavano gli studio, diretti e posseduti da ricchi borghesi che presero pian piano il posto del gruppo eterogeneo di ex circensi, attorə di vaudeville, mezzə fuorilegge che aveva fondato Hollywood. Ma il lungo disinteresse per questo periodo, da parte di molta storiografia del cinema, rientra nelle dinamiche (anche eteropatriarcali, naturalmente) più ampie che hanno sottovalutato o cercato di sminuire il ruolo della queerness nel plasmare la cultura e la funzione innovatrice che spesso le persone più marginalizzate hanno ricoperto. Più o meno negli stessi anni, infatti, nella Repubblica di Weimar il cinema tedesco si sviluppava in modo molto simile, e nasceva quello che oggi ricordiamo come il primo movimento LGBTQIA+, ma anche le opere di quel periodo in Germania subirono la censura e la cancellazione già nei primi anni del nazionalsocialismo. Oggi grazie all’antropologia e alla storiografia queer, ma anche a un lavoro massivo di recupero delle pellicole mute (in cui la stessa Cineteca di Bologna gioca un ruolo importante, dedicando anche retrospettive a icone come Marlene Dietrich ma anche pioniere come Guy e Arzner), abbiamo molte più possibilità – e sempre più ne avremo – di recuperare, attraverso opere che ci restituiscono la mentalità del periodo molto più fedelmente di qualsiasi libro mainstream di cinema, l’eredità di chi ha contribuito a portare la comunità dove è oggi, sia pure in modo non lineare e attraverso mille difficoltà e repressioni.

Immagine di copertina da sushi-rider.com, immagini nel testo da collider.com