La frusta schiocca forte, taglia l’aria, mentre le incide la pelle. Che cosa le passa per la testa? Domani riuscirà a sedersi? E lui? Come si sente nel colpire una ragazza inginocchiata e inerme? Io, invece, che cos’è che sto provando, qui e ora?
I pensieri che mi hanno attraversata la prima volta che ho assistito a una scena BDSM sono stati tanti. Alcuni ingenui, altri complessi e articolati. Ho iniziato a riflettere sul confine tra dolore e piacere, sulle norme e codici che costruiscono e orientano i desideri, le fantasie, i rapporti tra le persone. Più che a pensare, però, ho iniziato a sentire. A sentire quanto l’erotismo e l’energia che attraversano i corpi possano essere potenti e perturbanti. Rompono gli schemi e le aspettative personali, sociali. Danno forme inaspettate a possibilità sessuali, relazionali, affettive, identitarie. Il primo impatto col Bdsm, per un’antropologa come me, è stato dirompente ed è stato solo l’inizio. Lentamente mi sono addentrata nell’immaginario e nelle pratiche che intendevo studiare ma, come ho avvertito sulla mia stessa pelle, occuparsi di corpi e fantasie non può prescindere dal corpo e dai desideri che siamo.
“Cosa si prova?”, “come ti senti?” erano le domande che guidavano il mio compito di ricercatrice diligente, ma mi è bastato un “Perché non provi?” a rompere gli schemi esperienziali e metodologici che mi ero data. Ho sentito che dovevo chiudere gli occhi e lasciarmi andare, e che fare ricerca sul sesso – almeno per me – è un percorso intimo, ambiguo, di confine. In cui mi metto in gioco – oggi che mi occupo di educazione alla sessualità – non solo come professionista, ma anche come donna fatta di carne, fantasie, fragilità e ambiguità.
E durante l’ennesima “intervista”, mi sono alzata, ho lasciato la tazza di tè e ho deciso di lasciarla fare, tenendo la schiena dritta e gli occhi aperti, cercando di restare stabile sulle mie gambe tremanti. La corda ha cominciato a scorrermi sulla pelle, ruvida. Sentivo il suo respiro, rassicurante come una carezza ma allo stesso tempo minaccioso. E se mi prende la fifa? E se non respiro più?
L’erotismo è un salto nel vuoto e il desiderio è una fame che non si sazia. Ciò che li guida è la curiosità, la libertà di prendersi cura di sé attraverso un’altra persona e viceversa, la voglia di conoscere anche attraverso il timore.
Mi sono ritrovata con una serie di nodi stretti sul seno. Esposta a sensazioni di costrizione e potenza, li sentivo come un gioiello da ammirare allo specchio. Nel guardarmi, ho visto una nuova me: pronta a scandagliare i fondali delle complessità della sessualità, dotata di una corazza di corda che – sebbene sia sempre pronta a scivolarmi giù dal petto – adorna il mio cuore e non mi fa avere troppa paura dell’intensità dei miei e degli altrui desideri.
Nel mio caso, fare ricerca su tutto questo – sulla sessualità, sulle identità, sui piaceri – è un percorso complicato che mi travolge come persona, mi mette davanti a questioni sommerse e sfuggenti, in relazione con me stessa e con le alterità, e con ciò che percepisco come distante ma che, in realtà, si rivela spesso più vicino di quanto pensi.
Negli ultimi anni quest’alterità, per me, è stata rappresentata dai/dalle giovani. Sono partita, infatti, da uno studio antropologico sul Bdsm per arrivare oggi all’educazione alla sessualità per adolescenti.
Nel guardare dentro gli occhi dei ragazzi e delle ragazze ritrovo lo stesso brivido di quanto mi sono trovata esposta alle prime fruste, corde e corsetti. Nei loro occhi, nel turbamento, timore, curiosità ed elettricità piena di rabbia e vita delle loro domande sento la stessa vertigine di quanto ho iniziato a occuparmi di sessualità. Il loro sguardo mi stringe e mi accarezza e, come una corda, crea un legame.
Con me stessa e con loro cerco di non aver paura, di stare in piedi, forte sulle mie gambe tremanti. Perché io non ho paura di immergermi, ho la mia fragile corazza di corde sul cuore.
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