Infedeli alla linea (Becco Giallo, 2024) di Eva Cabras è un saggio che tocca un tema non frequentemente affrontato nel dibattito italiano: la rappresentazione dei corpi grassi nei media e nella cultura pop. Cabras non parla di autostima né di empowerment da poster motivazionale, ma parla di potere, di narrazioni e di chi resta fuori campo.

Il libro analizza film, serie tv e pubblicità mostrando come i corpi grassi vengano continuamente tradotti in stereotipi funzionali: la cicciona buffa e goffa, la migliore amica grassa comprensiva ma asessuata, la grossa cattivona grottesca, la donna grassa protagonista che può essere tale solo se si vergogna o se fa dell’autoironia il proprio scudo. In tv e al cinema, il corpo grasso non vive: funziona. Serve a far ridere, a insegnare, a punire o a redimere chi guarda.

Nel capitolo Finché c’è la salute, Cabras smonta la retorica della selfcare in quanto copertura moralista del controllo dei corpi: la salute diventa una forma di disciplina sociale, non un diritto, e in #ToxicPositivity mostra come la body positivity mainstream sia ormai un dispositivo neoliberale, che accetta la diversità solo se vendibile. “Ama te stessə”, purché tu resti fotogenicə, grassə si ma con una pelle e proporzioni perfette, ma soprattutto prontə a consumare.
I capitoli più incisivi sono quelli dedicati alle serie tv, dove Cabras illustra come la narrazione seriale contribuisca a costruire e riprodurre gli stereotipi legati ai corpi grassi. Nei capitoli Specchio delle mie brame e L’arte di fare schifo, Cabras attraversa decenni di rappresentazioni televisive per mostrare come la serialità abbia costruito un immaginario preciso del corpo grasso. Da Friends a Glee, da Orange Is the New Black a This Is Us, il copione cambia poco: le personagge grasse sono quelle che mangiano troppo, che cadono, che consolano tuttə ma non vengono mai desiderate. Sono simpatiche, autoironiche, sempre pronte a farsi da parte.

Quando il corpo grasso prova a porsi in primo piano, ad uscire da questo ruolo e a diventare desiderante, la narrazione interviene per rimetterlo al proprio posto: arriva la dieta salvifica, la battuta della mean girl di turno sui rotolini, la meritata punizione morale. Ad esempio in tv, una persona grassa può scopare solo se lo fa come espiazione o per far ridere. È questo meccanismo — la riduzione del corpo a funzione narrativa, mai a soggetto pieno — che Cabras smonta. L’autrice non ci lascia senza speranza alcuna: successivamente contrappone a questo schema alcune falle nel sistema. In Shrill o Somebody Somewhere, finalmente il corpo non è una metafora ma una condizione concreta. 

Le illustrazioni di Chiaralascura amplificano questo discorso visivamente: corpi grassi, pieni, presenti, lontani dalla retorica della perfezione. Il tratto è il suo caratteristico: sempre esplicito, ironico, mai consolatorio – un gesto di diserzione grafica rispetto alla linea estetica dominante.

Il libro è stato presentato al festival Some Prefer Cake (Bologna), in un incontro con Chiaralascura ed Ellis Manici, fat queer activist. Nonostante l’assenza dell’autrice, il dialogo è stato vivace e ironico: si è riso, si è riflettuto e, tra una chiacchiera e l’altra, si è anche compiuto un piccolo miracolo di rappresentazione. Insieme, abbiamo trovato un esempio raro di grassa che scopa con piacere in una serie mainstream: Penelope Featherington in Bridgerton. Un momento minimo, ma significativo, il piacere non come riscatto, ma come semplice, grassa, presenza.

Infedeli alla linea è un saggio che non offre redenzione né consolazione, ma strumenti per guardare i media con occhi disallineati. Cabras rifiuta la retorica della body positivity e punta il dito su chi racconta, su chi decide chi può essere desiderabile e chi no. La grassofobia non è un problema individuale: è una struttura narrativa. 

Essere infedele alla linea significa rifiutare questo copione.

Immagine in evidenza: beccogiallo.it