Cloe se n’è andata. Come la Medea di Jean Anouilh, si è data fuoco nel camper dove viveva da anni. Da quando, nel 2015, aveva scelto di presentarsi a scuola, dove lavorava come docente, con abiti femminili, la sua carriera era stata segnata dall’umiliazione e dall’isolamento. Dopo il suo coming out, venne sospesa per tre giorni e successivamente spostata negli uffici della segreteria dove la sua presenza non avrebbe dovuto creare più disagi né imbarazzi. Come ci ha raccontato Babs, insegnante non-binary, parlando dell’ambiente scuola: «Le aspettative di genere su di noi sono disattese e questo crea spesso antipatie e scompiglio, se non vero e proprio mobbing». Per di più, vista la difficoltà nel cambiare nome sui documenti, far rispettare il proprio nome d’elezione diventa un coming out costante e da parte di colleghə «ci si ritrova spesso a essere sottoposti a deadnaming e misgendering e bisogna avere una grande forza interiore per non esserne colpiti». Di fatto, per ə docenti cisetero «l’esistenza trans e non binaria ha poco valore: non è cosa su cui aprire dibattiti o, quando avviene, la violenza verbale è tollerata». Oltre al caso di Cloe, basta tornare al 2019 per ritrovare queste dichiarazioni nel licenziamento di Giovanna Cristina Vivinetto.
Poco prima del suicidio, Cloe Bianco scriveva nel suo blog: «Io sono brutta, decisamente brutta, sono una donna transgenere. Sono un’offesa al mio genere, un’offesa al genere femminile. Non faccio neppure pietà, neppure questo». Questo senso di inadeguatezza, addirittura di offesa per l’intero genere femminile, ci può dire molto. Tante sono le persone che come lei vengono allontanate dal posto di lavoro perché rappresentano negazioni viventi dell’eteronormatività, per le quali non sembra valere la tiritera liberale per cui il lavoro è un diritto umano. È lo stesso capitale che in questi afosi giorni di giugno si veste d’arcobaleno a escludere dal riconoscimento sociale e lavorativo i corpi e le soggettività al margine. Per poter scendere a patti con il capitale, scrive Federico Zappino, «noi stessə siamo obbligatə a riprodurre eterosessualità se vogliamo ambire a una qualche forma di intelligibilità e riconoscibilità. Ed essere intelligibili e riconoscibili è il prerequisito per poter prendere parte al rapporto sociale capitalistico, cioè per essere messi a valore e al lavoro da parte del capitale, in modalità tuttavia differenti proprio a seconda della differente posizione di genere che, in quanto prodotti “eterosessualizzati”, occupiamo nell’ordine sociale».
Per dirla con le parole di Monique Wittig, l’eterosessualità è un contratto sociale e la categoria di sesso è uno dei suoi strumenti di governo più raffinati. È proprio contro chi fugge e si ribella a questo contratto che l’odio si riversa. Cloe non si è suicidata, Cloe è stata uccisa da un sistema socio-economico che non può tollerare individui che sfuggono alle sue categorie binarie di dominio. Oggi il capitale ha un’altra vittima sulla coscienza, ma il problema è che di coscienza non ne ha alcuna. Come la Medea di Anouilh immersa nelle fiamme rivendica le sue origini, le sue parentele e il suo statuto di alterità rispetto a Giasone, così anche Cloe Bianco ha lottato una vita per rivendicare chi era e chi resterà: «Sono Medea, finalmente, per sempre! Guardami prima di restar solo in questo mondo ragionevole, guardami bene, Giasone».
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