«Di me si sa / che sono metà e metà / ma tu sei un coglione intero», canta Checco Zalone durante la seconda serata di Sanremo, al termine di uno sketch del quale, tolta la transfobia, rimaneva il nulla.
Nel tentativo di ridicolizzare l’omofobia – perché cos’è una donna trans, se non un frocio che si è spinto un po’ troppo in là per approfittarsi degli uomini? -, il comico non fa che riflettere l’idea distorta che il pubblico italiano medio ha delle persone trans.
Viene messo in scena un susseguirsi di battute che, stereotipo dopo stereotipo, creano una caricatura grottesca di una donna trans, ovviamente con accento brasiliano e che esercita sex working, ma solo per screditare la figura di potere che «va a trans».
Amadeus, che fa da narratore, lo spalleggia con una risatina imbarazzata quando si sottintende la rima «cazzo», perché non poteva mancare l’ossessione per «cos’ha davvero là sotto».
Tutto ciò accade dopo un sentito monologo di Lorena Cesarini nel quale l’attrice invitava all’anti-razzismo e a combattere l’odio per il diverso, aumentando la dissonanza creata dall’ipocrisia.
Le persone trans sono individui interi, non una via di mezzo che fa ridere. Non c’è bisogno di spiegarci così che gli omofobi sono coglioni. Anche perché, tra una battuta a spese nostre e l’altra, meglio ricordarsi che lo sono pure i transfobi. E non ci fanno ridere.
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