Nello stesso giorno in cui il Parlamento francese ha approvato una riforma storica introducendo esplicitamente il concetto di consenso nella definizione di stupro, in Italia vengono archiviate le accuse di violenza sessuale contro Leonardo Apache La Russa, figlio del presidente del Senato, e il suo amico Tommaso Gilardoni. Nelle motivazioni, la giudice per le indagini preliminari ha sottolineato come i video messi agli atti non provassero in modo «inequivocabile» una coercizione, nonostante la giovane donna coinvolta avesse dichiarato di essere sotto l’effetto di alcol e sostanze stupefacenti. Mentre la legge francese stabilisce che il consenso debba essere «libero e informato, specifico, preventivo e revocabile» e che non possa essere dedotto dal silenzio, dall’assenza di resistenza o dalla mancanza di un no, il codice penale italiano resta ancorato a una concezione della violenza sessuale centrata sulla forza fisica e sulla costrizione, ignorandone la dimensione psicologica e relazionale. Eppure, come la Francia, l’Italia ha ratificato nel 2013 la Convenzione di Istanbul, che introduce proprio il principio di consenso nella definizione di stupro.

La lotta alla violenza di genere non si gioca soltanto nei tribunali: dovrebbe cominciare molto prima, nelle scuole e nella cultura collettiva, attraverso la prevenzione. Invece, lo scorso marzo, la ministra della Famiglia Eugenia Roccella ha dichiarato che l’introduzione dell’educazione sessuale nelle scuole non ridurrebbe i femminicidi, un’affermazione in netto contrasto con decenni di studi internazionali e con le raccomandazioni dell’OMS e delle Nazioni Unite, secondo cui la prevenzione della violenza parte dall’educazione al consenso, all’affettività e alla sessualità. Questo ottobre, proprio nel giorno del femminicidio di Pamela Genini, la Commissione Cultura della Camera ha dato il via libera all’emendamento della Lega sul disegno di legge Valditara che vieta l’educazione sessuale non solo nelle scuole primarie, ma anche nelle medie. Per le superiori, il testo introduce una serie di vincoli tali — tra cui la necessità del consenso delle famiglie rispetto ai contenuti educativi, cosa che non avviene per nessun’altra disciplina — che limitano, di fatto, la possibilità di affrontare il tema in modo realmente formativo. Contemporaneamente, Fratelli d’Italia ha depositato un emendamento al disegno di legge Concorrenza che punta a eliminare il divieto, oggi in vigore, di affiggere messaggi sessisti, omofobi o lesivi della dignità delle persone su strade, veicoli e mezzi pubblici. È difficile non leggere, in questa serie di interventi, la volontà di ostacolare il cambiamento culturale necessario a scardinare gli stereotipi di genere alla base della cultura dello stupro in cui siamo immersə.

L’Italia rimane uno dei pochi Paesi europei in cui l’educazione sessuale non è obbligatoria per legge, insieme a Bulgaria, Cipro, Lituania, Polonia e Romania. Quando è presente, è distribuita in modo disomogeneo a seconda dei territori e delle possibilità dei singoli istituti, diventando di fatto un privilegio per pochi. E anche in questi casi, assume spesso un approccio superato: ci si concentra quasi esclusivamente sulla prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili e delle gravidanze indesiderate, trascurando gli aspetti emotivi, relazionali e culturali che sono alla base della violenza di genere.

Questo accade nonostante le principali organizzazioni internazionali — UNESCO, OMS, UNICEF, UNFPA e UN Women — invitino da anni all’adozione di un approccio globale all’educazione sessuale. Non significa “insegnare il sesso allə bambinə”, come viene talvolta banalizzato nel dibattito politico italiano, ma fornire strumenti per crescere nella consapevolezza di sé e dellə altrə, nel rispetto reciproco e nella libertà personale. La salute sessuale, infatti, è definita come uno stato di benessere fisico, emotivo e sociale legato alla sessualità, non solo come assenza di malattie. Significa poter vivere la propria corporeità e le proprie relazioni in modo positivo, consapevole e sicuro, libero da coercizioni, discriminazioni e violenze.

Tra i diritti sessuali riconosciuti dalle agenzie internazionali rientra quello di ricevere un’educazione sessuale globale, in grado di favorire l’autodeterminazione, la capacità di scelta, un rapporto positivo con il proprio corpo, la consapevolezza dei propri confini e il rispetto di quelli altrui. Quando questo approccio viene adottato, i dati mostrano una riduzione della violenza e delle molestie, una maggiore sicurezza e un miglior benessere emotivo e relazionale.
Non esiste nessuna “ideologia gender” né alcun progetto di indottrinamento: l’educazione sessuale globale è uno strumento di libertà, salute e giustizia sociale. È un investimento culturale e preventivo, prima ancora che sanitario. In un Paese in cui la violenza di genere è una realtà quotidiana non possiamo continuare a rinviare una riforma che riguarda la dignità, l’autonomia e la sicurezza delle persone. Educare non significa imporre, significa fornire strumenti di autodeterminazione.

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