Il 18 marzo 2025 il parlamento ungherese ha approvato la legge, presentata appena il giorno prima dal partito del presidente Viktor Orbán, che limita il diritto di assemblea in ottemperanza a un’altra legge sulla «protezione dei minori» approvata tre anni prima, la quale impedisce discorsi legati all’omosessualità in contesti pubblici frequentati da minori, quali innanzitutto la scuola, ma anche limitando la visibilità di media e campagne pubblicitarie che affrontano o toccano tematiche LGBTQIA+.

La giustificazione utilizzata per questa legge è un’associazione tipica delle destre tra omosessualità (e più in generale orientamenti di genere e sessuali non etero-normati), promiscuità sessuale e pedofilia, ravvedendo quindi in qualsiasi manifestazione LGBTQIA+ una minaccia per lo sviluppo e la crescita delle persone minorenni: la vituperata «teoria del gender», per farla breve.

Sarebbe facile ridurre tali scelte politiche alla deriva autoritaria che da ormai dieci anni affligge l’Ungheria governata da Orbán, il quale non esita a strizzare l’occhio al regime putiniano – tra l’altro, la stessa legge qui discussa è stata associata a una legge simile approvata in Russia nel 2013, rinforzata tra 2023 e 2024 con l’inserimento del «movimento internazionale LGBT» nella lista delle organizzazioni estremiste e terroristiche – ma, guardando il tutto da un po’ più lontano, diviene evidente che il contesto generale dell’Europa orientale non rende la vita facile né alle organizzazioni LGBTQIA+ né alla realizzazione di una manifestazione come il Pride. Dalle ricerche condotte nel biennio 2018-2019 all’interno del progetto Queer Lab Europe e consultando il sito rainbowmap.org (prodotto da ILGA-Europe), si evince che un velo di rosso ricopre tutto il Vecchio Continente dall’Austria fino agli Urali: paesi come Turchia e Azerbaijan sono molto vicini alle posizioni russe, e l’Armenia non li distanzia di molto in classifica anche se non limita le libertà di associazione ed espressione. Bielorussia, Ucraina, Romania, Polonia e Bulgaria si piazzano invece in una posizione intermedia, non lontana da quella italiana. Proprio l’Italia si posiziona in maniera ben peggiore, per riconoscimento dei diritti civili, a paesi come l’Estonia, l’Austria e la Slovenia, che sono sopra alla media europea (42,05%) e molto vicini alla media UE (50,61%).

È interessante il caso dei paesi baltici, tra cui l’Estonia, i quali dal 2005 organizzano in collaborazione un Baltic Pride: sin dalla prima manifestazione tenutasi a Riga, l’evento ha scatenato rumorose proteste che hanno coinvolto il governo lettone e contromanifestazioni che hanno causato momenti di alta tensione. Proprio per questo l’organizzazione di Baltic Pride è stata affiancata da diverse attività di sensibilizzazione verso le tematiche LGBTQIA+, ed è diventata una manifestazione itinerante di anno in anno tra le capitali baltiche, integrata all’interno del contesto dell’Europride.

Nel 2022 la manifestazione di Europride, tenutasi a Belgrado, è stata ostacolata dal governo serbo in ragione di questioni di sicurezza legate alle tensioni col Kosovo, ma si è comunque svolta con successo.

D’altro canto, secondo uno studio prodotto nel 2017 dal think tank statunitense Pew Research Center, c’è in Europa centrale e orientale un generalizzato spirito moralista e conservatore nei confronti di tematiche quali matrimonio egualitario, aborto e ruoli di genere, spirito che si acuisce (ma attenzione, senza esserne un elemento esclusivo) nelle fasce di età superiori ai 34 anni, nelle comunità di religione cristiano ortodossa e tra le persone con istruzione universitaria. È possibile concludere, secondo tale studio, che l’omosessualità, in tali cerchie, non dovrebbe nemmeno essere tollerata. Sia chiaro, la fede cattolica di determinate società non è garanzia di maggiore apertura nei confronti della comunità LGBTQIA+, e ne sono prova le posizioni del governo polacco e i recenti avvenimenti in Ungheria.

Serve però sottolineare che non si vuole creare una dicotomia “noi-loro” per esorcizzare i nostri, di peccati. La realtà è ovviamente una scala di grigi in cui l’Europa si pone in maniera disomogenea più verso un lato, ma assolutamente non all’estremo. Il 14 aprile il Parlamento ungherese ha approvato un emendamento della propria costituzione per riconoscere due soli generi, con una manovra non dissimile da quanto fatto recentemente da Trump. Di nuovo, come negli Stati Uniti e come in Russia, è facile scoprire sotto il velo di giustificazioni moraleggianti o religiose l’ennesimo tentativo di rinsaldamento di un potere autoritario e autarchico di fronte a una eventuale erosione del proprio supporto pubblico. Ma per le oligarchie questa è solo ordinaria amministrazione.

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