Non si ride mai troppo, nella vita. L’ironia (e l’autoironia), l’umorismo, le gag… che sarebbe la nostra giornata se non ci scappassero almeno tre sorrisi e due risate? Almeno… Eppure non è sempre così facile. Ridere-con e non ridere-di, ridere anche di problemi seri, per affrontarli meglio, ridere bene e ridere ultime: grandi sfide che richiedono grandi risposte.
E così abbiamo chiesto a Frad di darci le sue, di risposte, a domande che sono solo un trampolino per una riflessione più ampia.
Fumettista, comica, nonché tatuatrice romana, Frad debutta nel 2022 nella stand-up comedy, portando i suoi spettacoli in oltre 20 città italiane. È cofondatrice del progetto di queer comedy Fraciche e fa parte del collettivo di stand-up C’è Figa. Nel 2024 fa il suo esordio televisivo su Comedy Central.
Collabora con numerose realtà Lgbtqia+ e femministe in Italia, ma non vi preoccupate, se non riuscite a beccarla su un palco della vostra città, la potete trovare anche sui social, coi suoi contenuti umoristici. I temi? Mondo lesbico, femminismo, relazioni e contraddizioni umane.

Nella stand-up comedy puoi usare la comicità legata tanto alla parola quanto al ritmo dell’eloquio o al linguaggio del corpo: quali meccanismi preferisci attivare per far ridere?
Amo far ridere in tanti modi, forse per mascherare il disagio, ma tanto si vede lo stesso. A un certo punto mi sono stancata di farlo gratis e così mi sono ritrovata sul palco!
Sul palco non sei soltanto davanti al pubblico, sei con il pubblico, e si crea un’energia collettiva potente. Quando parlo di tematiche sociali e politiche, la comicità diventa un mezzo liberatorio, per me e (spero) per chi ascolta. L’ironia aiuta a rendere certi temi più digeribili e a interiorizzarli.
I miei pezzi hanno sempre un intento satirico: voglio mettere in discussione potere, privilegi e sistema, altrimenti mi sembrerebbero vuoti. Ma la stand-up ha qualcosa in più: il racconto personale. L’autoironia e l’autocritica sono fondamentali, non si tratta solo di puntare il dito, ma di partire da sé e dai propri irrisolti. Cerco un equilibrio tra critica sociale e autocritica, non sempre ci riesco e infatti non sempre mi piaccio.
La stand-up deve essere fastidiosa, scomoda, spostare qualcosa dentro. Non significa parlare solo di politica o istituzioni, ma essere consapevoli che ogni scelta ha un significato più profondo e si ripercuoterà nel sistema in cui viviamo.
Vorrei farmi ascoltare anche fuori dalla mia bolla queer e transfemminista, ma non è facile senza snaturarmi. Devo ancora trovare la formula magica. In parte ci sono riuscita con Comedy Central, un bel traguardo in questo senso.
Se ti dico “comicità lesbica”, tu come interpreti questa espressione?
Dipende dal contesto, non è un’espressione di uso comune. Di solito si preferiscono categorie più rassicuranti come “comicità al femminile”, un’etichetta che trovo insopportabile!
La parola “lesbica” non è mai neutra, porta con sé un bagaglio pesante. Può essere un insulto o un’affermazione identitaria, ha significati opposti. Per me è più di un orientamento: è un intreccio complesso tra espressione di genere, orientamento, identità e rifiuto delle imposizioni ciseteropatriarcali.
Solitamente non uso “comicità lesbica”, preferisco “queer comedy” e simili, ma se devo interpretarla, la immagino intersezionale: autoironica sugli stereotipi interni e satirica verso chi ci opprime, dal privilegio maschile all’eterosessualità obbligatoria.
Aver bene presente dove si è all’interno di questo sistema con tutte le nostre intersezioni facilita molto il lavoro; sapere dove sei ti aiuta a fare critica ma anche autocritica, aiuta a creare pezzi più sinceri. Questo non significa non sbagliare, si può sempre sbagliare, l’importante è essere in ascolto con il pubblico. Molte volte ho cambiato i miei pezzi dopo essermi confrontata con le persone. Non prima di essermi sentita in colpa per una settimana!

Ci sono delle caratteristiche a tuo avviso ricorrenti nell’umorismo a tema e/o per un pubblico lesbico?
Chi fa stand-up a tematica lesbica ha una cosa in comune, e sono i nostri stereotipi. Sono troppo divertenti per non usarli. Le colonie di gatti, i drammi, le ex… ci svoltano un sacco di pezzi e ci fanno sentire meno solə!
Spesso c’è confusione sugli stereotipi, si pensa che siano sempre sbagliati, ma io non sono d’accordo. Senza di loro sarebbe impossibile fare comicità, la differenza sta in come li si usa e quali si usa.
Ci sono gli stereotipi esterni, creati da chi non appartiene alla comunità, pieni di pregiudizi e dannosi. Poi ci sono quelli interni, che nascono dentro la comunità per raccontarci, creare una nostra narrazione e un senso di appartenenza. Su questi ultimi secondo me si può giocare senza problemi, io lo faccio spesso e adoro quando altre comiche lo fanno.
Anche gli stereotipi dannosi, se usati in modo inaspettato, possono servire a smontare la loro assurdità. L’ironia aiuta a mostrare quanto siano ridicoli o infondati. Per esempio, ho fatto un intero pezzo su “le lesbiche non fanno sesso”, uno stereotipo esterno nato dallo sguardo fallocentrico e maschile, e l’ho ribaltato. Ma questo è solo uno dei tanti.
Comiche lesbiche uniamoci e smontiamoli uno a uno!
Perseguitaci