Intro a cura di Lesbiche Bologna
In un’Italia che ci impone il modello di famiglia tradizionale come unico possibile o accettabile, abbiamo deciso di dare voce alle nostre s/famiglie, per raccontare i tanti e diversi modi di essere genitor* che animano la nostra comunità: le nostre genitorialità ribelli, come testimonianze di impegno, di cura e di intimità profonda che per noi sono anche pratica politica.
In questo primo articolo Antea Diana Vaccarino ci racconta com’è cambiato il rapporto con sua figlia nel corso della transizione.
di Antea Diana Vaccarino
Non c’è un buon momento per fare coming out con tua figlia.
Di sicuro non quando lei è all’inizio dell’adolescenza e state lentamente ricostruendo il vostro legame padre-figlia qualche anno dopo un divorzio.
Lei ha bisogno di sapere che tutto è stabile, avrà bisogno di mille rassicurazioni in un’età in cui il rapporto col corpo è complesso, e deve sentire di potersi fidare ciecamente di te.
Tu ti senti come la negazione di ognuna di queste cose. E anche se rassicuri tutti dicendo che sarai sempre tu, già ora non ne sei per niente convinta.
Penso che siamo ancora una famiglia perché lo abbiamo voluto entrambe. E abbiamo fatto entrambe dei compromessi, soprattutto all’inizio. Il che non è quello che vorresti né quello che sembra giusto per tua figlia. Tra sensi di colpa, paura e voglia di sistemare le cose e riavere momenti in ritardo di venticinque anni, di passi falsi ne ho fatti più di quanti potessi chiedere di perdonarmene. È bello parlare di accettazione, di cosa sarebbe giusto per me, e ognuna di quelle volte mi sono detta che sarebbe bello e giusto, ma sei un genitore, e tutto, anche te stessa, dovrebbe venire dopo quello di cui ha bisogno la tua famiglia. Alla fine però ci siamo messe lì, tra uno scossone e l’altro, lei a imparare a ri-conoscermi (in mezzo a tutto il turbine di esperienze di quell’età), io a capire se potevo e volevo rimanere il genitore che ero, a chiedermi se a cambiare l’avrei sentita meno mia.
Quello che ho capito è che se passi gli anni a convincerti che si possa vivere compressi e forzati, allora è difficile trovare la forza per vedere la capacità e la necessità di esprimersi degli altri, e aiutarti a non stare male ti dà una lucidità che serve a inquadrare quell’intero altro mondo che ogni figlio si crea attorno. È come quando sull’aereo ti dicono di indossare la maschera prima di metterla agli altri: non è per far star bene te, è che altrimenti proprio non puoi aiutare.
E così alla fine salta fuori che la cosa migliore che potevo, anzi dovevo fare, come genitore, fosse accettarmi. Fa uno strano effetto renderti conto che tua figlia è più felice con questa versione di te che mai avrebbe potuto averla? Non tanto, guardando indietro la capisci e sai che comunque ti ha voluto bene sempre, attraverso tutti i rispettivi traumi, e impari a vivere in questa specie di paradosso temporale.
Potrei dire che come famiglia ci siamo date un “tema”. Ascoltarci sempre e fino in fondo, non pensare che l’una o l’altra “è fatta così, la conosco” perché vivere è sempre cambiamento, e ci conosciamo perché ci rimettiamo lì ogni giorno a scegliere di raccontarci a vicenda e sostenerci, e mai dare niente per scontato. Richiede ancora un certo impegno, anche se viene più naturale e spontaneo. Niente di tutto questo toglie qualcosa al nostro essere una famiglia di sangue, la “famiglia tradizionale”, ma è anche vero che se non avessimo passato tutte queste cose assieme quel legame varrebbe veramente poco o forse sarebbe più un peso, e non c’è mancato tanto che andasse così.
Certo abbiamo dovuto abbandonare tante strutture comode e rassicuranti. Credo che ci confidiamo più di quanto farebbero o consiglierebbero altri, perché quando ti confessi certe cose sembra un po’ difficile ricostruire un distacco, una “gerarchia” se vogliamo tra giovani e adulti. Dobbiamo credere l’una nell’altra come persone complete e autonome, io per avere fiducia nella sua capacità di trovare la sua strada, e lei per essere consapevole nell’accettare i miei consigli e nel sapere che in tutto quello che stavo attraversando e (ri)vivendo ero e volevo essere sempre papà; e, ancora, sforzarci quando non siamo sicure di riuscirci, e ricordarci che nessuna delle due sta nello stampino di adulti e adolescenti che il mondo si era immaginato per noi.
Sono stata fortunata perché nessuno di questi passi era scontato. C’erano mille cose che potevano andare storte (alcune l’hanno fatto), e mille altre circostanze che semplicemente non potevo e non potevamo prevedere. È bello poter dire che siamo una famiglia per scelta, ma è anche vero che in tanti casi quella scelta non è così chiaramente visibile o realizzabile, e nemmeno a noi è sempre sembrata possibile. Tante volte è stato aspettare, tenere dentro il nodo alla gola (a volte senza riuscirci), e sperare di ritrovarci.
Alla fine siamo spuntate dall’altra parte del viaggio. Lei è cresciuta, è ormai adulta anche se vuole la sua vecchia signora a consigliarla. E sono cresciuta anch’io, tanto tempo dopo essermi convinta di un mondo scolpito nella pietra e finita a scrivere una storia tutta diversa da quella che immaginavo.
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