«Memoria storica, visibilità e intersezionalità», queste le parole chiave per leggere Rosa Cenere, la mostra che sarà allestita negli spazi di Salaborsa dal 27 giugno al 20 luglio curata da Peopall. A dieci anni dalla prima edizione, il gruppo di attivismo politico del Cassero ha deciso di riprendere in mano quel lavoro di ricerca e costruzione di archivio iconografico, per ampliare una memoria collettiva a lungo messa sotto silenzio. Alle 17 illustratorə della mostra originale se ne sono aggiunte altre 9 per raccontare in totale 17 storie di persone che sono state deportate nei campi di concentramento perché appartenenti a quella che oggi chiamiamo comunità LGBTQIA+.
Una nuova edizione nata dall’esigenza di permettere, da un lato, a nuovə artistə di avere un proprio spazio di racconto e visibilità e dall’altro di dare voce a identità all’epoca non visibili o non nominate, come quelle lesbiche, non binarie e trans*; oltre a un necessario lavoro di aggiornamento del linguaggio, all’epoca ancora binario e maschile nella comunicazione pubblica. A influenzare il processo creativo e l’arricchimento del catalogo è stata certamente la figura di Lucy Salani. Se nel 2014 la testimone transgender dell’orrorre nazifascista, scomparsa lo scorso anno, era stata la protagonista dell’inaugurazione, nel 2024 la sua vita ricca e multiforme acquista «una posizione di rilievo, per l’importanza che ha avuto per il Cassero e la città di Bologna», come ci tiene a sottolineare Nicola Manzoni, unə dellə attivistə di Peopall che ha lavorato a Rosa Cenere.
Il gruppo di lavoro non si è però fermato soltanto alle fonti più prossime: ha ampliato gli orizzonti della ricerca. Grazie al supporto del Centro di Documentazione Flavia Madaschi – già coinvolto nella prima edizione – è stato possibile rintracciare archivi e musei sparsi per il mondo e dedicati alla memoria dell’Olocausto. Tra questi lo United States Holocaust Memorial Museum, progetto con sede a Washington DC che ha come obiettivo quello di rendere accessibili le memorie relative al genocidio nazi-fascista. Oltre a una maggiore consapevolezza nel linguaggio, il decennio di distanza ha portato con sé anche la possibilità di accedere a più storie e memorie di persone deportate perché non conformi all’eterocispatriarcato. Da qui l’opportunità di non limitarsi a raccontare solo le poche storie emerse tra gli anni Settanta e i primi anni Dieci del XXI secolo – alla base della prima edizione che aveva però un deficit rappresentativo della comunità – e di dare visibilità a persone come Liddy Bacroff, «ladra, prostituta, uranista, pederasta, invertita e travestita» come lei stessa si definiva e soggetto dell’opera di Riccardo Ambiveri, e Ovida Delect, sopravvissuta ai campi di sterminio e che negli anni ‘80 intraprese il percorso di affermazione di genere come donna trans* ed è la protagonista della tavola di Nijan Ravi. Un lavoro di indagine e introspezione che, partendo dall’assunto che la società del tempo «aveva completamente omologato quelle persone in una struttura binaria» – per usare le parole di Anna Putrino che ha contribuito al progetto -, fa emergere la violenza sistemica che all’epoca e ora colpisce le persone LGBTQIA+. Nuove lenti storiche e sociali che hanno dato la possibilità a curatorə e artistə di intravedere, tra le maglie di quelle vicende estremamente personali, elementi di queerness all’epoca non leggibili.
Nel 2014 l’esposizione curata da Jacopo Camagni e da Peopall venne inaugurata al Cassero e da lì partì per un tour, inaspettato, in altri luoghi e in altre città. Nel 2024, invece, le tavole saranno esposte nella principale biblioteca comunale della città di Bologna, accessibili a quante più persone possibili, anche grazie a un lavoro di trascrizione per le persone cieche e ipovedenti. Vagando tra gli scaffali sarà possibile conoscere le storie di Albrecht Becker, Rudolf Brazda, Heinz Dörmer, Karl Gorath, Heinz Heger, Henny Schermann, Pierre Seel, Paul Gerhard Vogel, Kurt von Ruffin, Friederich-Paul von Groszheim, Liddy Bacroff, Ovida Delect, Fritz Kitzing, Eva Kotchever/ Adams, Mary Pünjer, Lucy Salani, Ilse Totzke, viste dai talenti di Andrea Madalena, Wally Rainbow, Luca Vanzella e Roberto Ruager, Jacopo Camagni, Michele Soma, Mattia Surroz, Massimo Basili, Sebastian Dell’Aria, Giopota, Mabel Morri, Flavia Biondi, Davide Mantovani, Francesco Legramandi, Marco B. Bucci, Damiano Clemente, Giulio Macaione, Riccardo Ambiveri, Nijan Ravi, Gianluca Sturmann, Bianca Buoncristiani, Cristina Portolano, Ren Arman, Ada Morandin, aThomics e Cerro. A farlo non saranno solo persone della nostra comunità ma potenzialmente chiunque transiti da lì, cuore culturale pulsante della città. Rosa Cenere è quindi, ancora oggi, porta di accesso e di costruzione della memoria collettiva, che dà visibilità a chi fu vittima dell’omocausto e dell’odio nazista e fascista, in una chiave intersezionale. E si dimostra essere anche uno spazio di ricerca e di confronto per generazioni di attivistə, in cui esplorare connessioni e collegare passato e presente e definire una postura per muoversi verso il futuro.
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