Nel momento in cui morì Antonio, ucciso da un falso Riccardo, una falsa Ester scoprì la scomparsa di Anna.

La vera Ester, nel frattempo, era riuscita a trascinare suo figlio Matteo e Federica attraverso i sotterranei di una Bologna dimenticata. Nel nero cavo delle cantine, tra l’odore dei canali, calpestando la polvere di secoli dimenticati, i tre avevano raggiunto una scala stretta come quella di una soffitta. Le due rampe che la componevano erano del tutto occupate da cataste di mobili sfasciati, posti a barricata per impedire a chiunque l’accesso. Pur essendo un vicolo cieco, Ester salì su un paio di poltrone ribaltate, leggera come una scalatrice allenata, poi su una credenza sfasciata mezza seppellita dalle macerie, senza alcuna paura di sporcarsi. Alla luce della torcia, Matteo la osservava imbambolato. Lei salì la barricata piantando la punta delle scarpe con decisione e aggrappandosi ad ogni anfratto come se l’avesse già fatto altre volte.

‘Seguitemi.’ La sua voce non tradiva il minimo affanno. ‘Prima le poltrone, ma evitate i piedini, poi su quel cassettone, ma con delicatezza, che lo sfondate. Mettete i piedi dove li ho messi io e andrà tutto bene… e lo dico soprattutto a te Matteo.’

‘Che ho fatto?! Guarda che sono molto più allenato di voi due!’ disse Matteo sorpreso a pensare.

‘Forse. Ma lei è una ragazza. Le donne hanno una via privilegiata per Atlantide.’

‘Mamma hai smesso di farmi paura mezz’ora fa, ora scendi da lì e spiegami tutto prima di…’

‘Lo farà lei.’

Dal piano di sopra si sentirono passi leggeri, come quelli di bambina che corre a piedi nudi.

Anna entrò nella casa che un tempo apparteneva ai guardiani della chiusa ma che era stata anche il teatro di molte vecchie vicende partigiane. L’odore che la colpì, all’ennesimo giro di chiave, fu lo stesso di casa sua, nel Frignano. I paesaggi non potevano essere più diversi ma le case in montagna avevano tutte lo stesso odore. Lasciò il trolley all’entrata, poi usando il cellulare come torcia cominciò la breve routine per aprire gli scuri, far partire il generatore e riempire le stufe. Molti collegamenti della rete elettrica, dopo la frana del 2010 erano stati interrotti e mai più ripristinati. L’intera montagna non era la più stessa. Anna aveva passato in quel luogo solo alcuni weekend, nell’arco di diversi anni, ma l’aveva sempre sentita come casa sua. Nonostante l’avesse dovuta condividere con più di dieci ragazze lesbiche armate d’idee creative sulla fedeltà di coppia. Non si era mai sentita così protetta come tra quelle montagne desolate. Una volta caricata la legna aprì l’armadietto in soggiorno tirando fuori tutti gli alcolici che erano rimasti dal capodanno precedente. Inspirò soddisfatta.

‘Sarà una notte lunga.’

Federica e Matteo riuscirono a raggiungere gli stretti corridoi del cassero di Santo Stefano, quello che fino a qualche tempo prima era sede di collettivi e realtà che ora erano caduti sotto la macchina d’assedio delle pressioni di quartiere. Forze che come, in una fiaba tetra, erano in mano alla sua Signora, la Presidente Giorgetti, e che erano state capaci di allontanare gay, lesbiche, persone trans e mobilitate femministe da una delle loro case storiche. Ora le porte erano murate e con lo sgombero ogni vita tra quelle pareti si era fatta silenziosa, come in una casa stregata. I due raggiunsero la pista da ballo e come successe la prima volta ad Ester dovettero attendere prima di essere ricevuti.

‘Matteo, fatti avanti.’ La bambina con la voce da madre lo esortò con dolcezza e quando lui fece un passo avanti cercando la figura nel buio lei continuò. ‘Tu sei l’unico che sa cos’è successo a Riccardo. Tu hai visto anche se non sai di averlo fatto, sei testimone inconsapevole, nemico ignaro della forza che ha preso tuo fratello.’ Federica si accorse che non vedeva Ester da quando erano risaliti in superficie e continuava a cercarla con lo sguardo nella quasi totale oscurità.

La bambina con la voce da madre continuò con tono solenne come quello di un oracolo. ‘Devi ricordare consapevolmente, scegliere di sapere e ammettere ciò che sai e che rifiuti.’ Ci fu una pausa e Matteo stava quasi per rispondere, anche se non sapeva ancora cosa, poi la voce lo fece sobbalzare vicinissima a lui. ‘Vai al bar della saletta alla tua destra, quello della cucina. Là, al posto del bancone, c’è un’asse da stiro. Troverai un bicchiere di rum. Bevilo.’ Matteo non riuscì a trattenersi e rispose all’istante, senza pensare. ‘è SOLO rum?’

La voce si fece ancora più vicina, come se le labbra che pronunciavano quelle parole stessero respirando il suo odore. ‘Tu forse sei solo un piccolo maschio eterosessuale che è finito qui per bersi un bicchiere di rum?’

‘No.’

‘Allora bevilo e trova la metà del coraggio che Ester e Federica hanno già dimostrato nella loro vita.’ Le parole colpirono e affondarono Matteo.

‘Ci conosciamo?’ Il cuore di Federica batteva dentro di lei come lo sferragliare di un vecchio treno, trascinato e infernale. ‘Ma certo piccola mia, è come se fossi tua Madre.’ Federica sentì una mano, piccola e delicata, prendere la sua. Quel gesto le cavò fuori lacrime senza singhiozzi, sugli occhi sbarrati nell’oscurità.

‘Io sono passi, Passi nel Buio, ma voi cercate chi mastica e sta ancora masticando.’

 (15 – continua)

pubblicato sul numero 15 della Falla – maggio 2016