Qualche tempo fa un’amica lesbica mi ha detto che la mia abitudine di usare lo stuzzicadenti a tavola è disgustosa, e che dovrei andare in bagno a pulirmi i denti. Ai miei richiami alla libertà di espressione, al diritto di essere fuori dagli schemi e abbattere gli stereotipi sulle buone maniere, lei ha ribattuto che è semplicemente qualcosa che mette a disagio le persone che sono sedute a tavola con me, e sicuramente mette a disagio lei. Questa osservazione mi ha fatto riflettere, non tanto per la cosa in sé, quanto per la considerazione più generale sull’impatto che il nostro modo di comportarci e stare nel mondo abbia sulle altre persone, e se sia giusto preoccuparsene o farne uno strumento di lotta.

È noto che le buone maniere nella nostra società siano fortemente genderizzate. Nessuna persona direbbe mai a un ragazzo di non sedersi scomposto, mentre questa e altre frasi simili vengono rivolte costantemente alle giovani socializzate donne. Fin da piccole ci è stato inculcato un manuale di bon ton che dovrebbe portarci a diventare delle “signorine perbene”, e quante di noi, da bambine, hanno invidiato i loro amici maschi, le loro libertà di comportamento, di gergo, di espressione. Perciò sembra abbastanza ovvio che nel nostro percorso di crescita e di consapevolezza verso il femminismo e il lesbismo sia maturato anche il desiderio di scardinare queste differenze, di rivendicare la nostra libertà a comportarci come desideriamo, spesso anche in modo provocatorio. Così io, come lesbica, faccio un vanto del mio sedermi scomposta, del parlare male, e anche di usare lo stuzzicadenti a tavola.

Ma le lesbiche non sono tutte uguali: noi che facciamo politica lesbica lo ripetiamo da sempre, nel pretendere lo stesso rispetto e la stessa considerazione per ognuna delle manifestazioni della nostra soggettività. 

Abbiamo sempre rivendicato il fatto che la nostra comunità abbracci uno spettro molto ampio di espressioni, dalla butch camionara alla femme con le unghie ben curate, passando per tutte le diverse rappresentazioni del nostro stare nel mondo: capelli corti, lunghi, testa rasata, gambe pelose o depilate, corpi grassi, magri, atletici, abbronzati, pallidi, emaciati, completamente tatuati, pieni di piercing, o corpi che “non mi farei tatuare né forare per nulla al mondo”. E ancora, abbigliamento percepito come maschile o femminile, alla “mi metto addosso la prima cosa che trovo”, camicie a quadri, crop top di pizzo, pantaloni larghi che non lasciano vedere cosa c’è sotto, pantaloni attillati, leggings, calze, minigonne, scarpe col tacco, anfibi, scarpe da ginnastica e le intramontabili Birkenstock.

La comunità lesbica, almeno quella politicizzata, è sempre stata orgogliosa di accogliere in sé ogni diversa espressione della propria lesbicità, senza pregiudizi, categorie di merito o graduatorie di valore. Nessuna di noi si sognerebbe di criticare una compagna per il modo di vestirsi o di stare svestita, di pettinarsi o no, di truccarsi o di non truccarsi, di indossare  accessori o di non indossarne affatto.

Ma cosa succede quando questo stesso criterio viene applicato alle cosiddette “buone maniere”? È sempre giusto rivendicare il proprio diritto a comportarsi come si vuole, quando questo urta la sensibilità di una compagna lesbica che condivide il nostro stesso spazio? Saremmo a nostro agio se durante un’assemblea la persona che ci siede di fianco si prendesse la libertà di scaccolarsi o di scorreggiare? Se durante un sit-in una compagna decidesse di calarsi i pantaloni e mettersi a cagare? E se nel farlo rivendicasse il proprio diritto alla libera espressione? Qual è il confine tra libertà personale e rispetto dell’altrǝ, tra l’aspirazione ad abbattere le norme e l’attenzione alla sensibilità delle nostre compagne? Oppure è giusto limitare la libertà di espressione di una compagna per tutelare la nostra sensibilità personale?

Sebbene non mi sia ancora data una risposta definitiva, questo episodio mi ha fatto riflettere su quanto sia complessa e sfidante la nostra esistenza lesbica. Ebbene sì, esistono anche lesbiche che amano le buone maniere e come parte della nostra comunità meritano il rispetto delle compagne che queste norme le vogliono abbattere e decostruire. Imporre all’altra un comportamento che turba il suo sentire più intimo, rendendogli sgradevole la vita di comunità, è scorretto tanto quanto calpestare il legittimo bisogno di comportarsi e muoversi nel mondo come si desidera, in opposizione ai luoghi comuni e alle convenzioni. Quindi, come convivere in questa diversità di vedute e di modi di sentire, senza mortificarsi a vicenda nei nostri confini, nei nostri bisogni, nel nostro desiderio di essere rivoluzionarie?

Forse non c’è una risposta a questa domanda, ma forse la risposta sta semplicemente nel fatto di porsela

Mi piace pensare che un tratto distintivo della nostra comunità lesbica sia proprio l’attenzione e il rispetto per l’altrǝ, che si tratti di modi di esprimersi, di relazionarsi, di comportarsi o di condividere gli spazi. La nostra battaglia quotidiana tra l’impulso a infrangere ogni norma e il mantenersi entro limiti di rispetto reciproco è ciò che caratterizza la nostra esistenza, e che ne rappresenta la bellezza e la complessità. E, ammettiamolo, a volte anche la pesantezza, nel trovarci a tematizzare ogni singolo avvenimento, dal personale al politico, dai massimi sistemi ai fastidi quotidiani, dalla rivoluzione lesbica all’uso dello stuzzicadenti. Ma questo è necessario, perché il nostro diritto alla libertà finisce dove inizia quello di un’altra compagna lesbica, perché è questa la relazione di cura che vogliamo tramandare come comunità. E così la mia indole battagliera si infrange e si sgretola di fronte alla richiesta di un’amica di porre maggiore attenzione al suo sentire.

Quindi smetterò di usare lo stuzzicadenti a tavola? No, non lo farò. La mia postura e il mio modo di comportarmi è e sarà sempre strumento di lotta. Quello che faccio e come lo faccio continuerà a dire “non mi avrete come volete, non mi chiuderete dentro ai recinti dei vostri luoghi comuni, io sono una lesbica libera e fuori dalle norme”. Però all’amica lesbica che ama le buone maniere, se me lo chiederà con rispetto e gentilezza, risponderò che sì, per non ferire la sua sensibilità posso andare in bagno a pulirmi i denti.