C’era una volta il movimento lesbo-femminista, deciso a combattere il malvagio Spirito Maschilista che controllava le menti e sottometteva le donne con il suo potentissimo Fallo Magico. Nel tentativo di sconfiggere il temibile nemico, le nostre indomite attiviste cancellarono dalla propria esistenza qualsiasi oggetto o atto che potesse ricordare loro quel simbolo di subordinazione sociale. Fino a quando…
… Non arrivarono la rivoluzione sessuale e le relative teorie queer che finalmente separarono ciò che avveniva fra le lenzuola dall’identità di una persona.
O forse no?
Sì perché, se gli uomini eterosessuali ancora si ritrovano a privarsi del piacere della penetrazione anale perché “troppo gay”, le lesbiche rimangono relegate all’angolo del petting. Le donne si accarezzano, si baciano, si leccano e sforbiciano (sì, vabbè, no comment…), ma di sicuro non fanno sesso: qualsiasi cosa di vagamente penetrativo risulterebbe agli occhi esterni solo un triste surrogato del membro maschile.
In tutto questo non si può però certo imputare, come sempre, ogni responsabilità alla cultura eterosessuale omofoba o sessuofoba; il problema è infatti vissuto anche all’interno della comunità LGBT+, tra lesbiche che pur di non ammettere la brama dell’utilizzo di uno strap-on rinuncerebbero alla quarta stagione di Orange is the new black, e gay che rivendicano l’esclusività del sesso anale.
E allora sapete che vi dico? Ripartiamo dalle basi. Andiamo alla pornografia: ogni analisi sulla cultura sessuale che si rispetti deve per forza muoversi da lì. E sì, parliamo per un attimo proprio di quel porno mainstream da sempre soggetto a forti critiche per il modo in cui rappresenta il sesso fra donne: “si vede che è rivolto ad un pubblico etero’’, “alla fine si palesa sempre un pene… o due”,
Ebbene, vi dico, soffermiamoci un secondo di più: perché sotto quelle tette terribilmente rifatte, quei venti chili di trucco, e prima della comparsa del maschione in erezione di turno, quanto viene mostrato perlomeno è sesso. C’è un po’ di tutto, paurosamente finto, ma c’è: cunnilingus, stimolazione clitoridea e anale con dita, e, soprattutto… la penetrazione!
Sì, poiché, per quanto quelle mani alla Freddy Kruger non rassicurino molto, all’interno di una vagina o di un ano per lo meno ci finiscono.
E sapete perché un prodotto così dannatamente commerciale e stereotipato riesce a capirci qualcosa di più dell’intera comunità LGBT+? Molto semplice: non v’esistono identità precostituite o personalità soggette a costruzioni sociali, siccome nel porno il prodotto è il sesso che contempla la sola esistenza dei corpi e i loro punti di piacere.
Quindi bando agli intellettualismi, gli unici che senza nemmeno farlo apposta hanno davvero capito che le pratiche sessuali sono totalmente scollegate da orientamento o identità di genere, sono proprio i registi del porno. Che vissero felici e contenti. Ode a loro.
pubblicato sul numero 9 della Falla – novembre 2015
immagine realizzata da Andrea Talevi
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