Lettera di una lettrice confusa: “Cara Falla, alla tivì ieri un’esimia mente pensatrice invitata in un talk show ha detto che sono molti i fattori che la perplimono. Ma ‘sto perplimere… chevvordì?”
Cara lettrice, non spaventarti se la confusione è in agguato: tecnicamente, la parola perplimere non esiste. O meglio, è un neologismo inventato da Corrado Guzzanti in uno dei suoi sketch all’interno del programma Avanzi, ormai trent’anni fa (come passa il tempo!) e che effettivamente riempie un vuoto lessicale della lingua italiana, ossia l’azione attiva del rendere perplesso, e morfologicamente funziona perché è una struttura (-imere/-esso) che risulta familiare e in linea con altre costruzioni verbali italiane, tipo comprimere o esprimere.
Per cui, nel suo piccolo è un verbo che ha attecchito, anche se magari mantenendo una vena di ironia nel suo utilizzo, a dimostrazione che se una parola semanticamente e pragmaticamente funziona, con un po’ di fortuna può finire dentro i nostri vocabolari, e che la lingua, comunque, la si fa insieme, parlando.
Immagine in evidenza: Claudia Marulo
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