«Amichɘ qui riunitɘ, ascoltate  ancora una volta la nostra leggenda Bionicle. In un tempo prima del tempo…»

C’è un meme che circola nel fandom di una particolare linea di giocattoli della Lego che appare spesso tra i post della relativa bacheca di Reddit, ha raggiunto TikTok e circola nelle memorie di Youtube: chi, nell’infanzia, ha giocato con i Bionicle ha poi quasi sicuramente avviato un percorso di transizione di genere

Prima di capire le motivazioni dietro tale battuta, spendo due righe per chiarire il contesto: negli anni ’90 la Lego economicamente se la passava davvero tanto (ma tanto) male. Quando nel ’99 uscì nei cinema STAR WARS: La minaccia fantasma e il signor Lucas prese accordi con l’azienda danese per una (riuscitissima) linea di set tematici, Lego capì che creare una narrazione transmediale di sua proprietà per una nuova linea era il modo migliore per spingere le vendite e fare soldi senza dover pagare i diritti ad altre aziende, e allo stesso tempo si rese conto che un ingranaggio Technic vendeva più di un set semplificato con poco da assemblare.

Perciò, dopo un paio di sperimentazioni di breve durata nel 2001 i Bionicle videro finalmente la luce, e il loro primo risultato fu far perdere alla Lego una causa legale per appropriazione culturale intentata dai Maori neozelandesi: la mitologia Bionicle, infatti, trae ad ampie mani da nomi e concetti Maori, polinesiani e figiani, quali i guerrieri Toa, i capi-villaggio Turaga, il dio-isola Mata Nui e gli abitanti Tohunga. Quest’ultimo termine ha però un’accezione sacra, che spazia per significato tra sacerdote e artigiano, e che per questo fu cambiato con il fittizio Matoran.

Volendo riassumere la mitologia di tali esseri parimenti organici e meccanici dalle maschere infuse di poteri elementali, essi possono essere considerati quasi delle cellule, incoscienti di vivere in, e su, un gigante (cyborg come loro e caduto in ibernazione su un pianeta acquatico) per il solo scopo di prendersene cura e in un futuro prossimo risvegliarlo. Il tutto era raccontato tramite fumetti, videogiochi, film d’animazione e pubblicità accattivanti farcite di musica alternative rock e metal, che in un minuto sapevano raccontarti tutte le sfide della nuova annata di set in arrivo, coi Toa che dovevano proteggere i Matoran dei rispettivi villaggi (categoricamente corrispondenti a un elemento e quindi a un colore) dalla minaccia di turno e dalle macchinazioni dell’ingannevole (e fratello di Mata Nui) Makuta Teridax.

Un particolare aspetto dell’ambientazione è che, di fatto, i Bionicle (tranne l’antagonista Roodaka) non hanno una chiara espressione di genere, e verrebbe da pensare che ogni personaggio Bionicle abbia un’identità di genere maschile, essendo un giocattolo con target maschile. Ma la Lego, per non escludere nessuna fetta di clientela, decise che tutto un popolo avrebbe avuto identità femminile, e scelse quello dell’acqua. È un dettaglio questo che emerge difficilmente dal giocattolo in sé, né è granché deducibile dal suo manuale di assemblaggio o dalla particolare confezione a barattolo. È solo attraverso fumetti e film (soprattutto in questi ultimi) che emerge questo dettaglio, senza implicazioni di potere o romantiche né evidenti tracce di dimorfismo sessuale: ogni essere aveva un proprio aspetto, più o meno uniforme alla linea di quell’anno, una propria forte personalità, un potere, una maschera scambiabile e tanto spazio lasciato all’immaginazione.

Di conseguenza, giocare con tali esseri manipolabili e assemblabili a piacimento lascia ampio spazio di sperimentazione riguardo temi di genere e sessualità, e permette di familiarizzare, per via indiretta, con tematiche quali il transumanesimo, la possibilità di cambiare parti del corpo (si consideri che l’ideatore di tutto questo, Christian Faber, dovette affrontare nello stesso periodo un tumore al cervello), evolversi e potenziarsi tramite un mistico metallo liquido fonte di tutta la vita chiamato Protodermis. Il manipolare e assemblare questi esseri permette di scoprire la propria forza interiore, di non limitarsi all’apparenza e alle limitazioni del proprio fisico, e a scoprire chi si è con un rapido cambio di maschera, anzi, di faccia. Sarà forse un caso che il principale protagonista delle avventure dei Bionicle sia Takua, un piccolo Matoran della tribù del fuoco, rosso quindi, ma con una maschera blu, del colore della tribù dell’acqua, prima che si trasformi e cambi nome in Takanuva, il Toa dorato della luce. Ma tant’è, i Bionicle sono comunque diventati, come altri prodotti del capitalismo, anche un simbolo rivendicato dalle persone trans.

Immagine in evidenza: reddit.com