A cura di Davide Curcuruto
Era fine marzo quando è iniziata quest’avventura.
Come singole soggettività, collettività di settore o transfem ci siamo incontratə in assemblea per provare a costruire dal basso un Pride intersezionale, che fosse connesso con le lotte del tessuto cittadino, dalla lotta per la casa alla causa palestinese in un territorio irrimediabilmente terrone come Napoli.
Si stava consumando la spaccatura sul genocidio a Gaza nel Napoli Pride e il Presidente di Arcigay Napoli era chiuso in un bunker a Tel Aviv durante la risposta iraniana ai bombardamenti israeliani.

Siamo state narrate come sabotatrici dell’unico vero Pride, come delle pericolose estremiste ma quel bunker ci diceva altro ovvero della necessità di costruire uno spazio politico frocio in cui No pride in genocide fosse una linea rossa non tanto ideologica quanto storico-politica: le nostre sorelle hanno conosciuto il campo di prigionia, il ghetto, l’apartheid, come potremmo non rifiutare quando i nostri corpi sono usati per riprodurre questa violenza su altri corpi?
Così abbiamo deciso di arrevuta’ o Pride, rivoltarci come a Stonewall ma anche di rovesciare “il Pride” di una narrazione unica e pericolosamente eurocentrica. Non uno spazio di chiusura ma di messa in discussione: in questo abbiamo trovato alleanze con le sorelle di ATN con cui abbiamo animato lo spezzone critico nel Napoli Pride con le sole bandiere del movimento e della Palestina. Si può organizzare un Pride con poche centinaia di euro? Noi abbiamo avuto la nostra comunità per riuscirci. Perché davanti a un genocidio non c’è neutralità, le froce lo sanno da che parte stare.
Perseguitaci