Il 2 marzo 2016, Berta Isabel Cáceres Flores non è morta: si è moltiplicata. Dicono così nelle tante comunità e quartieri dell’Honduras che ne hanno conosciuto l’impegno concreto e militante contro quello che chiamava «il potere capitalista, razzista e patriarcale». Parlano del suo omicidio come della «sembra de Berta», la semina di Berta, perché, come si era augurato il fratello «Altre mille Berta Cáceres si solleveranno!».
Nata il 4 marzo 1971, ereditò l’impegno sociale della madre e nel 1993, da studentessa, cofondò il Consiglio delle organizzazioni popolari ed indigene dell’Honduras (Copinh), che oggi unisce 200 comunità indigene e 50 organizzazioni comunitarie.
Nel 2006 venne incaricata dalla comunità indigena Lenca del Rio Blanco di investigare sull’arrivo inatteso di imprese costruttrici nella loro area, scoprendo un progetto di costruzione di dighe idroelettriche sul fiume Gualcarque portato avanti da una joint venture sino-franco-honduregna. Le popolazioni locali non erano state consultate e, per proteggere l’accesso dei Lenca all’acqua e alle risorse della comunità, Berta Cáceres organizzò una lotta pacifica e una mobilitazione internazionale che impedì l’accesso al sito della diga fino al 2013, anno in cui i partner internazionali si ritirarono dal progetto.
Nel 2015, proprio per il suo impegno nel caso del Gualcarque, Cáceres ricevette il Goldman Environmental Prize, informalmente noto anche come Nobel per l’Ambiente.
Nonostante l’attenzione internazionale e la disposizione di misure di protezione preventive dovute alle minacce che continuava a ricevere, nel 2016 un gruppo armato fece irruzione in casa di Berta Cáceres e la uccise, come era già successo ad altrǝ 12 attivistǝ ambientalistǝ nei 7 anni precedenti.
Illustrazione di Riccardo Pittioni
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