Del perché è impossibile sottrarsi alle logiche del feticismo

È curioso come la società occidentale nel corso della storia, non riuscendo a guardare al di là del proprio naso, abbia spesso tracciato con arroganza delle linee di demarcazione tra giusto e sbagliato, sacro e profano, moderno e primitivo, producendo così uno stratificarsi di pregiudizi difficili da sradicare.


Caso emblematico di questo errore è ciò che oggi additiamo con il nome di ‘feticcio’ o ‘feticismo’. Quando ne parliamo, il sottotesto nel quale ci muoviamo è confinato all’interno di particolari perversioni e fantasie sessuali o di un ossessivo collezionismo, connotati spesso da toni negativi. Per rintracciarne le ragioni bisogna partire dall’etimologia stessa della parola e dall’utilizzo che nel corso dei secoli ne è stato fatto.

Dal latino facticius, il termine feticcio fu coniato dai conquistadores portoghesi durante le esperienze coloniali in Africa nel XVI secolo per descrivere pratiche religiose a loro incomprensibili, come l’adorazione di oggetti in pietra e in legno – così lontane dalle reliquie dei Santi cristiani in voga a quel tempo – e per bollare come selvaggi costumi politeistici e pagani.

Se nei due secoli successivi il termine rimase di appannaggio esclusivo degli studiosi di religioni comparate all’interno di un’ottica discriminatoria cristiano-centrica, andando a sedimentare ancora di più la sua accezione negativa, a cavallo tra la fine della Seconda Rivoluzione Industriale e l’inizio del XX secolo questo comparve in due delle più importanti opere della storia contemporanea, Il Capitale e i Tre saggi sulla teoria sessuale, innescando quei due filoni di pensiero che rispolveriamo ogni volta che ci approcciamo al feticismo.

Se per Marx il “feticcio delle merci” rappresenta il concetto su cui si basa l’economia capitalistica e il medium con il quale ci si ritrova alienati da se stessi, per Freud il feticismo del piede sorge come paura indotta dalla possibilità di venire castrati in seguito al rifiuto “di prendere cognizione che la donna non possiede il pene”, proiettando così un ipotetico “fallo femminile” in un oggetto.

Il feticcio rimane, dunque, qualcosa che si adora ma non si dovrebbe, il sostituto simbolico di una verità originaria perduta per sempre e, allo stesso modo, un’attrazione eccessiva per la materia inanimata. Nonostante le connotazioni negative rimangano, con la diffusione di queste due opere si comincia a delineare l’idea che il feticismo non sia solo una mera religione esotica, caratteristica di società a noi lontane a cui guardare con sufficienza, ma come possa rappresentare, invece, una serie di relazioni tra individui e oggetti, presenti anche nella società occidentale.

Su quest’onda, oggi, ponendo in rassegna le principali correnti artistiche come cartina tornasole dello sviluppo sociale, l’antropologia, la fenomenologia, gli Object Studies e i Visual studies hanno mostrato come il feticismo sia un fenomeno pervasivo nella nostra cultura, non una perversione individuale maschile o una semplice ossessione consumistica di cui la fetish art e il collezionismo compulsivo rappresentano due estremizzazioni patologiche, quanto un bisogno innato per relazionarsi a realtà inanimate. Dal giocattolo che Afrodite diede in dono a Eros nelle Argonautiche, alle conserve Campbell’s, passando per il ventaglio della Locandiera, al bouquet da sposa di Emma Bovary, l’uomo ha sempre caricato gli oggetti di valori simbolici ed emotivi.

In una società attuale come la nostra, che si percepisce razionale e in buona parte desacralizzata non siamo, paradossalmente, sottoposti a continue spinte mitopoietiche che riversiamo nella moltitudine di oggetti che quotidianamente ci circondano? Inoltre, se abbandoniamo per un attimo la sfera degli oggetti materiali e gettiamo lo sguardo sul personaggio di una serie tv cult, al supereroe o alla supereroina di turno, alla diva o al divo del cinema o al calciatore, non siamo posti davanti lo stesso processo di simbolizzazione?
Adorando la Madonna cantante al posto della Madonna cristiana non siamo tutt* feticist*?

Ci rivedremo tra 25 anni, fiat voluntas dei.

pubblicato sul numero 27 della Falla – luglio/agosto/settembre 2017