di Adele Zambaldi

È passato più di un mese dal primo Pride sudtirolese, mancavamo praticamente solo noi. Alla parata del Pride di Bolzano sono scese in strada tra le 5 e le 7 mila persone – numeri inediti per questo territorio, ma cosa resta ora di questa meravigliosa massa?

Come comitato organizzativo abbiamo sempre detto che il Pride è lotta e non solo festa. L’abbiamo ripetuto nelle conferenze stampa, negli articoli, durante gli eventi. Ce lo siamo ripetuto durante la giornata stessa, quando sul palco sono salite associazioni e collettivi che hanno parlato di confini, antifascismo, lotta ambientale…

Eravamo tante, applaudivamo tanto. Sembrava di assistere alla nascita ufficiale di una lotta intersezionale in provincia di Bolzano. E allora qual è il dubbio, la fatica che sento ancora adesso? Sarebbe bello dire che i dubbi e la fatica sono svaniti vedendo questo momento storico realizzarsi. Per me non è stato proprio così. 

La domanda è se la presa di spazio e questa voglia di marciare insieme siano capaci (e noi con loro) di diventare marea, movimento, rete, anche nella vita di tutti i giorni. Non siamo sempre riuscite ad essere spazio di cura perché poche, stanche, attaccate, piene di cose da fare. La situazione globale, sicuramente, non aiuta ad essere semplicemente positive per aver fatto una bella cosa. 

Come possiamo rendere questo giorno, quest’attimo, un punto di partenza reale? Forse il nodo della questione può essere sciolto provando a guardarci, riconoscerci e sapere che l’unico modo è esserci. Forse la nostra vera resistenza è crescere in un posto periferico, o arrivarci, o tornarci, e riuscire ad immaginarlo come un porto davvero accogliente. È provare, faticosamente, a farlo succedere. Provare a farlo nonostante gli errori e la paura, nonostante la vergogna – usare quella paura o quella vergogna e tramutarla in rabbia, a volte, e in forza collettiva, quando possibile.

Fotografie Rosario Multari