di Gabriele Piazzoni

Organizzare il Crema Pride è un po’ come provare a montare un mobile dell’IKEA senza istruzioni… ma con glitter ovunque. Dalla scelta del percorso alla lotta per ottenere i permessi, sembra che anche i marciapiedi ci guardino con giudizio. Ogni riunione del comitato si trasforma in un mix tra una sit-com e una assemblea condominiale: «Abbiamo l’impianto audio? E le aste delle bandiere? Sfiliamo con il trattore e mettiamo le drag e il dj su un carro agricolo! Ok e chi lo dice alla polizia locale che passiamo in centro con un trattore?»

Poi ci sono gli sponsor: Potremmo chiedere al panettiere sotto casa? «Solo se ci dà anche le focacce arcobaleno». E ovviamente non può mancare il momento in cui qualcuno propone di far arrivare Lady Gaga in piazza Duomo, ma poi arriva la tesoriera guastafeste a puntualizzare che non abbiamo soldi neppure per piangere e tutto viene riportato alla realtà…

Ma la verità è che tutto questo caos è parte della magia. Perché dopo mesi di banchetti, iniziative, e per finire pure le minacce dei naziskin nostrani, quando finalmente le bandiere sventolano, le drag queen sfilano e le famiglie ballano, ti rendi conto che ogni difficoltà valeva la pena. Il Crema Pride è la prova vivente che anche una città tranquilla come la nostra può diventare un’esplosione di colori, musica e amore, un successo oltre ogni aspettativa, con migliaia di persone in marcia per il diritto di ogni persona ad essere sé stessa, senza pregiudizi, senza discriminazioni.

E sì, magari il palco era un carro agricolo un po’ storto e il microfono gracchiava… ma non c’è nulla di più dritto del nostro orgoglio.