UN COMMERCIO EQUO E SOLIDALE È POSSIBILE

di Valeria Roberti

Una ormai classica narrazione anti migranti, tanto banale da essere divenuta macchiettistica, recita: «Aiutiamoli a casa loro!» Il punto è che li aiutiamo già, a casa loro, da più di 30 anni. Dove con “-li”, suffisso e complemento oggetto del verbo “aiutare”, si intendono genericamente tutte le persone che non abitano in Occidente.

Il Commercio Equo e Solidale supporta un’economia giusta e rispettosa di tutti i popoli in tutto il mondo, nonché dinamiche economiche che non siano schiacciate dalla legge del profitto e del più forte, ma piuttosto innervate dalla qualità, dall’autodeterminazione, dall’uguaglianza e dal rispetto. 

Il Commercio Equo e Solidale è un modello di sviluppo che tutela i gruppi di produttori e le loro comunità in ogni parte del mondo, proponendo prezzi adeguati, che permettano di garantire un giusto trattamento lavorativo e che possano essere un supporto per le famiglie, i villaggi, le piccole realtà di quegli specifici territori. A livello mondiale, vede coinvolti milioni di artigiani, agricoltori, lavoratori, molto spesso provenienti da categorie sociali svantaggiate, organizzati in circa 400 organizzazioni in 70 paesi tra Africa, Asia, Europa, America Latina, Nord America e Pacifico, rappresentati da diversi organismi sia locali sia internazionali. Il World Fair Trade Organization è, per esempio, un ente mondiale che permette a queste realtà di incontrarsi e confrontarsi, di ascoltare i bisogni dei produttori e di influenzare i rapporti tra i consumatori mettendo in discussione le logiche di mercato alle quali siamo ormai assuefatti, dove sono il prezzo più basso e la distribuzione più ampia (in senso sia di tempo che di spazio) a farla da padroni. 

Se tutto questo non vi sembra avere un senso pratico, allora vale la pena fare un esempio goloso: prendiamo una tavoletta di cioccolato fondente 70% da 100 grammi della linea Mascao Altromercato. Analizziamo nel dettaglio le cifre che concorrono a formare il prezzo al consumatore a cui viene venduta la tavoletta presso la Bottega del Mondo: 2 euro e 30 centesimi. Il prezzo al produttore, che va a coprire tutti i costi reali e garantisce alle persone qualità e dignità di vita, incide per un 11% circa sul costo finale. 

I margini di importazione, che si dividono tra il valore che l’ente importatore trattiene per coprire i costi di struttura per svolgere le attività tipiche della propria organizzazione (ricerca, cooperazione, comunicazione e promozione, informazione e cultura, responsabilità sociale d’impresa, supporto e formazione ai propri soci) incide per il 24%, il margine per il rivenditore al dettaglio è pari a circa il 28% del costo totale, che serve ad animare e sostenere i luoghi in cui si promuove il Commercio Equo e Solidale, come le Botteghe del Mondo, luoghi di esperienza, incontro e diffusione.

Si sommano, infine, i costi accessori: trasporto, assicurazione, certificazioni, dazio, lavorazioni, analisi e altri costi che attengono al prodotto e che possono variare in maniera significativa a seconda delle politiche dei paesi di origine, delle produzioni o dei passaggi che il prodotto deve superare per arrivare al consumatore. Incidono per un 37%.

Leggendo questi numeri si notano due cifre in maniera evidente: la prima è che i costi accessori dei prodotti pesano molto di più dei costi di produzione  – e questo è valido per ogni prodotto trasformato, anche al di fuori della filiera del Commercio Equo. Il secondo dato è che per il produttore anche solo l’11% del prezzo finale del prodotto fa la differenza, perché il punto principale nella filiera del Commercio Equo non è partire dal prezzo finale per tenerlo basso (come ben raccontato da Stefano Liberti nel testo I signori del cibo: viaggio nell’industria alimentare che sta distruggendo il pianeta, Minimum Fax, 2016) ma al contrario partire dal compenso iniziale per assicurarsi che sia giusto. 

La tavoletta Mascao è in grado di far viaggiare la mente tra le bontà dello zucchero Mascobado delle Filippine, degli aromi naturali usati per dare le varie fragranze (arancia o menta, per esempio) e quella del cioccolato stesso, coltivato con metodi biologici in Perù, per farla soffermare a scoprire la comunità peruviana di 2000 famiglie che quel cacao lo ha coltivato. Solidarietà e fiducia sono infatti i valori principali di Acopagro, che, fondata da 27 soci all’inizio degli anni Novanta, si è da subito distinta per la volontà di reinvestire nel proprio territorio. La cooperativa è fortemente convinta che per migliorare le condizioni di vita dei campesinos peruviani, si debba produrre un ottimo cacao fino di aroma, prestando grande attenzione a tutte le fasi produttive: semina, mantenimento della piantagione e raccolta. Grazie a questi miglioramenti, la produttività degli appezzamenti è raddoppiata e in qualche caso anche quadruplicata, assicurando un mercato stabile ai contadini e al loro cacao di altissima qualità. Nei primi anni, Acopagro esportava 500 tonnellate di cacao, ora superano le 5.000 ed è la principale esportatrice di cacao biologico in Perù, riconosciuta come una dei 5 migliori a livello mondiale. Il sogno del direttore generale è di diventare il primo produttore di cacao biologico al mondo, per poter garantire maggiori servizi ai soci, soprattutto in campo medico, educativo e concedendo prestiti agevolati. Molti soci hanno utilizzato i prestiti per costruire una casa per la propria famiglia, fare piccoli investimenti per migliorare i loro alberi di cacao e sono molto soddisfatti dei loro successi.

Queste sono le storie di chi il Commercio Equo lo fa, storie che provengono da luoghi lontani o anche molto vicini. Sì, perché da alcuni anni si è manifestata una crescente attenzione a ciò che viene definito Domestic Fairtrade, ovvero quelle realtà produttive che rispettano i criteri del Commercio Equo nello stesso paese in cui sono vendute: in Italia è il caso delle cooperative sociali anti caporalato in Puglia; di vecchie aziende agricole recuperate, biologiche da sempre, ancora prima che la certificazione fosse conosciuta e diffusa; di piccole aziende dove persone svantaggiate lavorano insieme per costruirsi un futuro di opportunità e realizzazione personale.

Il vero problema, che troppo spesso dimentichiamo quando si tratta di fare la spesa, è che dietro ogni prodotto c’è la storia delle persone che lo hanno fatto (coltivato, raccolto, lavorato, trasformato, imbustato, inscatolato, caricato e trasportato) per permetterci di sceglierlo dallo scaffale del negozio. È della consapevolezza relativa a tutta questa filiera che dovremmo preoccuparci sul serio, perché questa è una delle rotelle che fa girare il mondo. 

Il Commercio Equo e Solidale è una delle strade possibili per riappropriarci di quella consapevolezza, anche perché è caratterizzato da trasparenza e democraticità dei processi decisionali. Ha l’obbiettivo di dare risposte, di proporre alternative concrete, di raccontare storie ed esperienze che hanno il sapore del riscatto sociale, dell’autodeterminazione, della libertà.

Pubblicato sul numero 48 della Falla, ottobre 2019