di Valentina Pinza

“Questa rassegna di cinema lesbico, il cui titolo ci è stato ispirato dal film di Heidi Arnesen del 1997, è il nostro ben ritrovate a tutte dopo l’estate. Il cinema perché è una delle nostre passioni, oltre che uno dei veicoli principali di trasmissione, una dissolvenza incrociata tra cultura/e e storia/e.”

Nel 2007 nasceva Some Prefer Cake e questa presentazione accompagnava la prima edizione di quella che per tre anni sarebbe stata una rassegna di cortometraggi a tematica lesbica, per poi diventare nel 2010 un vero e proprio festival. L’appuntamento era per il 4 settembre allo Spazio Donne-Stand 49, durante il Festival Nazionale dell’Unità di Bologna al Parco Nord.

Ideato e prodotto dall’associazione Fuoricampo Lesbian Group, faceva parte di un progetto di divulgazione della produzione artistica lesbica e femminista non solo nazionale, con il cinema punta di diamante tra le arti, passione condivisa dalle donne dell’associazione e inclinazione naturale della direttrice artistica Luki Massa, che in uno dei suoi saggi (Cinema lesbico. Da oggetti della rappresentazione a soggetti) scrive: “Il cinema lesbico è nato da un’esigenza duplice: la naturale propensione umana ad esprimersi attraverso l’arte e al contempo la necessità di difendersi, decostruendo l’immaginario violento e falsato che il cinema mainstream […] suggeriva.”

Si veniva dell’esperienza di Immaginaria, storico festival di cinema prodotto dall’associazione Visibilia negli anni 90, che sempre a Bologna aveva avuto modo di svilupparsi.

Decostruzione e ricostruzione di immaginari, pratica politica lesbica e femminista, cinema: questo intreccio segna l’azione di Fuoricampo negli anni successivi, che continua a produrre la propria rassegna nel 2008 e nel 2009, all’interno però di un contenitore diverso. Lo scenario diventa LaManifattura – Cultura fresca di stagione, programmazione culturale di eventi creata e curata da Comunicattive per l’estate bolognese.

È con la cancellazione improvvisa di quest’ultima, nell’estate del 2010, che SPC si reinventa festival completo, nel dicembre dello stesso anno, e trova una sede “fisica” più stabile, il Nuovo Cinema Nosadella. Ai cortometraggi, espressione privilegiata dei primi tre anni, si aggiungono lungometraggi e documentari. Una scommessa fatta durante una serata in pizzeria con Marta Bencich, collaboratrice della prima ora e successivamente co-direttrice artistica del festival.

Scommessa vinta, perché SPC cresce e con il festival crescono anche le produzioni cinematografiche, ogni anno sempre più numerose e di qualità. In questo percorso di indagine approfondita sulla relazione tra il cinema e le altre arti, si inserisce la mostra curata per l’edizione del 2012 dedicata all’opera di Zanele Muholi, fotografa lesbica nera sudafricana, impegnata, per usare una sua definizione, nell’attivismo visuale: visibilità ai corpi, ai volti, delle lesbiche nere sudafricane; un archivio LGBT+ della storia collettiva delle soggettività cancellate dalla storia ufficiale; una documentazione degli stupri correttivi sulle lesbiche diffusi in Sudafrica e praticati come “cura”, che contrappone alla violenza la potenza trasformativa della visibilità; una denuncia, di rara bellezza, sul sessismo, il razzismo e l’omofobia.

Il festival compie così l’ennesima trasformazione: diventa divulgatore di arti, come nell’idea primigenia della sua fondatrice, con il cinema filo conduttore di storie, quelle storie che sono la nostra più grande ricchezza e che hanno bisogno di visibilità, ascolto, attenzione, per reinventare il mondo. Le ultime edizioni del 2013 e del 2014 confermano la svolta decisa verso la commistione di generi espressivi già dalle “testimonial” scelte per l’immagine del festival: Aurélie Lemanceau, attrice e performer franco-inglese, e Ruby Rose, dj, vj, modella e conduttrice TV australiana.

2017, oggi. SPC torna a celebrare la ricchezza del cinema lesbico con la sua nona edizione, dopo due anni di pausa e a un anno dalla scomparsa di Luki Massa, a cui il festival viene dedicato.

Un omaggio che non è solo una celebrazione, perché l’unico modo per celebrare Luki Massa è continuare il suo lavoro, è agire, è trovare un senso nei contenuti e nel coraggio delle donne.

Ecco quindi che l’omaggio a Luki Massa si inserisce nella ricerca dei titoli di questa edizione curata da Marta Bencich. È un più ampio omaggio ad una generazione di donne che con il loro lavoro e la loro vita hanno rotto un paradigma e tracciato le strade che ora possiamo percorrere: Diane Torr, Simonetta Spinelli, Donna Haraway, Chavela Vargas, Luki Massa. Di queste e di altre donne che hanno fatto breccia verranno raccontate le storie e le lotte.

Nell’introduzione al festival, Marta Bencich ci ricorda la rivoluzione che ereditiamo e i risultati di cui possiamo godere noi ora, donne di una generazione più giovane a cui non viene chiesto un “big bang” deflagrante. “Ma il nostro compito non è banale” scrive Bencich, “noi, uno stato di instabilità e di reazioni chimiche, dobbiamo continuare a crearlo, sempre e di nuovo, e sempre a modo nostro, tenendo vivi i nostri spazi, anche se ce ne vengono offerti nel mondo del mainstream […] e continuare a raccontare e a diffondere le nostre storie seguendo la via suggerita da Haraway: capire “how to make the weak stories stronger and the strong stories weaker”.

Per celebrare queste nostre sorelle outsider dobbiamo imparare da ciò che hanno inventato e reinventato e dobbiamo individuare ciò che ancora manca e agire di conseguenza.

Buon Some Prefer Cake a tutte e tutti, è anche grazie al suo ritorno che possiamo reinventare il mondo.

Foto: Some Prefer Cake