di Pier Paolo Scarsella

A L’Aquila si sta bene; te lo dicono tutti. Hai due file ben distinte di montagne che ti procurano la neve per sciare d’inverno e laghi, che non si vedono sulla cartina, ma che permettono tranquillamente di trovare sollievo dalla calura estiva. Il motto della città, che tutti ripetono come un mantra, è immota manet (rimane immutata). Pochi invece si accorgono che la già citata massima di Salvatore Massonio, scrittore umanista vissuto tra il XVI e XVII secolo ed esponente di spicco dell’Accademia dei Velati, non è veramente un motto ma un avvertimento.

Il memento mori della città. Perché a L’Aquila, eccezion fatta per la segnaletica stradale, le cose cambiano così lentamente da sembrare sempre le stesse. Le metamorfosi, le trasfigurazioni, gli improvement li noti, qualche volta, solo se sei uno degli infami che è scappato. Oltrepassato il traforo, carico di gioia, unicorni e arcobaleni, dentro di te devi decidere quale pacchetto vacanza è più adatto al tuo soggiorno: evasione eremitica o sesso in camporella.

Se la prima soluzione ti porta a fare i conti con te stesso e a domandarti le motivazioni di colui “che fece per viltade il gran rifiuto”, la seconda garantisce un discreto rilascio di serotonina. Forse non lo sapete ma nel capoluogo abruzzese la quantità per metro quadrato di attivi, insospettabili, obbligatoriamente maschili e non-checca è estremamente alta. La giunta comunale, dopo aver finito di ripulire i portici da scritte omofobe, razziste e fasciste dovrebbe investire sul turismo sessuale gaio per riempire i buchi nel bilancio. Ti basta aprire una delle app di incontri mainstream, infatti, e hai solo l’imbarazzo della scelta nel raggio di quindici chilometri. Ti ritrovi così, sperduto tra le campagne della vallata, a consumare amplessi con perfetti sconosciuti. Post coito, se sei fortunato, rispondi all’interrogatorio su come è essere gay, frocia o ricchione, come l’hai capito, perché ti piace il pene. A loro, gli attivi di cui sopra, i genitali maschili non interessano. Sono grandi sacerdoti della divinità culo.

Alcuni più impavidi, ti pongono addirittura la grande domanda, quella che prima o poi ti fanno tutti quando capiscono di avere a che fare con uno sopra le righe. “Ma quindi il terremoto tu l’hai sentito quella notte?”. La risposta ti definisce. Gli aquilani trovano la verità primigenia nel tuo essere sopravvissuto per nove ore sotto i detriti di una casa. Quando ti manca la terra sotto i piedi, il disprezzo si trasforma in compassione. La tua omosessualità diventa un disturbo da stress post-traumatico. In realtà poi, non devi per forza essere un miracolato perché tutti sanno che il terremoto oltre ad aver scombussolato una città ha soprattutto scombussolato le teste. È il memento mori non detto.

Qualcuno sdrammatizza dicendo che ormai certe cose si vedono anche in televisione e allora pensi a quanto si arrabbierebbe Mary nel sentirlo. Maria Uoma Sacerdotessa del primo pelo, per gli amici Mary, è l’espressione queer più ardita che la città si è concessa negli ultimi anni. Impiegato comunale, funzionario regionale, santone, le leggende sulla sua professione diurna abbondano, di notte sorveglia e protegge la tomba di Karl Heinrich Ulrichs, antesignano della comunità LGBT+. Da lei, districandoti nella migliorata segnaletica stradale, prima o poi ci passi sempre a fare due chiacchiere per evadere, quando ti manca la terra sotto ai piedi in una città dove si sta bene perché rimane immutata.

pubblicato sul numero 34 della Falla – aprile 2018

immagine realizzata da Mara Santinello del collettivo artistico Gli Infanti