La quindicesima edizione di Gender Bender ospita la mostra fotografica Quel genere di persone che dovresti conoscere, di Simona Pampallona. All’inaugurazione è seguito un dibattito sulla natura del lavoro dell’artista. Le foto saranno visibili a Senape Vivaio Urbano, fino al 5 novembre 2017.

Era il 2012, a Roma, quando Simona Pampallona ha iniziato a maturare l’idea di avviare un progetto che vediamo elaborato nelle poche ma densissime pagine di Quel genere di persone che dovresti conoscere. “Un’opera forse non ancora finita”, racconta l’autrice, nata dal desiderio di trasmettere alcune criticità che la tormentavano circa gli “status imperativi” che intervengono in argomenti quali genere e orientamento sessuale.

L’incontro con un collettivo di sex performer che urinavano in pubblico le une sulle altre, ricordando da vicino quel Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio di Almodovar, ha portato quest’artista a visitare Parigi, Valencia, Berlino, alla ricerca di realtà analoghe, avvicinandola a persone che “utilizzano il loro corpo per motivi politici, anche all’esterno in luoghi non tutelati, facendo della fluidità di genere la chiave del loro lavoro”. I soggetti delle sue foto sono, infatti, come scrive nell’introduzione: “individui che amano, agiscono e pensano al di fuori delle tradizionali etichette di uomo o di donna, ricercando, attraverso l’arte, la politica e la filosofia, una strada diretta verso la liberazione dei corpi e delle menti, concepiti come soggetti desideranti e non certo come semplici strumenti di un ormai desueto ordine sociale”.

Ciò che interessa all’autrice è “fotografare il cambiamento”, quel cambiamento che si sta diffondendo in varie parti d’Europa e del mondo, con molteplici ed indipendenti radici, che hanno come punto chiave la riappropriazione del corpo e della sessualità. Soggetti come Diana J. Torres, autrice del libro Pornoterrorismo e performer della post-pornografia, o Annie sprinkle sono solo alcune di quelle persone che dovremmo conoscere e il motivo è semplice: “Viviamo al di sotto di una morale estremamente forte e opprimente, che riguardo alla pornografia si rivela molto omertosa”. In questa cornice si muove il lavoro di Pampallona, i cui scatti sono crudi, immobili ma privati di staticità e posa, presentano qualcosa tralasciando volutamente di dire altro: “Nelle mie fotografie cerco spesso di evitare che si possa capire se il corpo che ci si ritrova a osservare sia di un uomo o di una donna”. Un effetto di straniamento prodotto dalla natura intrinseca della mezzo utilizzato, che innesca in chi lo guarda una serie di domande a cui in questo caso si sceglie di non rispondere fino in fondo. Le opere che compongono la mostra sono variegate e dissimili tra loro, malgrado sia chiara la presenza di un fil rouge che le collega: uomini nudi ammassati; persone di spalle con i pantaloni calati tra le macerie attigue ad un palazzo; corpi grassi che ballano.

Sfumature preziose di un attivismo che rivendica la libertà individuale, le immagini di questo artwork hanno senza dubbio la capacità di stimolare una riflessione importante circa temi che riguardano, in realtà, tutte e tutti noi.

 

 

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