VITA, POESIA E AMORI DI ELIZABETH BISHOP

Elizabeth Bishop (1911-1979) è stata una delle più grandi poetesse americane del ventesimo secolo. Con pochissime poesie, un’ottantina, pubblicate nel corso di tutta la sua vita in quattro piccole raccolte, ha vinto i premi letterari più prestigiosi negli Stati Uniti, come il Pulitzer per la poesia nel 1956 e il National Book Award nel 1970. Elizabeth ebbe intensi rapporti di amicizia con gli altri grandi poeti statunitensi del suo tempo; Marianne Moore in particolare ne influenzò lo stile degli esordi, mentre Robert Lowell l’accompagnò per tutto l’arco della sua carriera letteraria mantenendo con lei un’intensa corrispondenza epistolare per oltre trent’anni. L’edizione italiana di questa corrispondenza, Scrivere Lettere è sempre pericoloso, è stata pubblicata nel 2014 per Adelphi, così come di Adelphi è Miracolo a Colazione, edito nel 2005, la raccolta di quasi tutte le poesie di Bishop tradotte in italiano col testo originale a fronte.

La vita della poetessa è stata segnata dai drammi familiari: il padre morì quando lei aveva appena otto mesi e la madre cadde in una depressione devastante fino a finire internata in un manicomio dal quale non sarebbe più uscita. Nei suoi versi, Elizabeth si presenta come una sopravvissuta, la sua infanzia è l’esito di un naufragio e lei la attraversa come un novello Robinson Crusoe su un’isola solitaria generata dalla sua mente, un’isola che assomiglia a una «discarica di nuvole». 

Dopo essere stata sballottata per diversi anni tra i nonni materni e i parenti del padre, preso possesso di una cospicua eredità, cominciò la sua interminabile fuga dai luoghi pregni di ricordi dolorosi viaggiando incessantemente per tutti i continenti del mondo. Fu proprio in uno dei suoi viaggi, quello che la portò a Rio de Janeiro nel 1951, che Elizabeth conobbe la donna che sarebbe diventata la sua compagna per quindici anni e che le avrebbe fatto conoscere una lunga tregua dal suo peregrinare disperato, la celebre architetta brasiliana Maria Carlota De Macedo Soares, detta Lota. Fu un amore intensissimo quello che legò Elizabeth a Lota, seppur vissuto da due cuori inquieti. A Lota, Elizabeth dedicò la raccolta più rappresentativa della sua poetica, Interrogativi di viaggio, in cui la descrizione dei luoghi esplorati nel suo lungo peregrinare si confonde con la rappresentazione dei paesaggi dell’anima. 

Solo nel 1970, dopo tre anni dal suicidio dell’amata, Elizabeth lasciò il Brasile per ritornare definitivamente negli Stati Uniti e insegnare all’università di Harvard. Qui conobbe Alice Methfessel, più giovane di lei di oltre trent’anni, e in modo del tutto inaspettato e sconvolgente se ne innamorò. Elizabeth racconta la sua nuova relazione come una vera e propria rinascita che le consentì di risollevarsi dalla stato di profonda depressione in cui era crollata per il suicidio di Lota e di liberarsi, dopo una vita intera, dalla dipendenza dall’alcol. Alice accompagnò Elizabeth per molti viaggi ancora in giro per il mondo, ricambiando il suo amore teneramente, quasi con devozione. 

È a lei che è dedicata l’ultima, pluripremiata, silloge della poetessa, Geografia III, e anche la sua poesia più famosa, L’arte di perdere, sebbene una certa tradizione, alimentata dal film biografico su Bishop, Reaching for the moon, uscito nel 2013 e basato sul romanzo Flores Raras e Banalíssimas scritto da Carmen Lucia de Oliveira, ne abbia forzato l’interpretazione, riferendola erroneamente al suicidio di Lota. La poesia non parla della perdita dell’amata, ma della paura della perdita, una paura camuffata da rassegnazione per un destino che Elizabeth sentiva ineluttabile. Era la forte differenza d’età a versare tanta insicurezza nel cuore della poetessa, ma anche l’incredulità davanti a un amore «miracoloso» che era riuscito a restituirle la gioia di fare colazione, cioè la forza di alzarsi dal letto la mattina. Ma l’amore di Alice sarà più forte di ogni paura e le sue labbra al «al gusto di caffè» baceranno Elizabeth per tutta l’ultima decade della sua vita fino alla sua morte.

Pubblicato sul numero 48 della Falla, ottobre 2019

Articolo aggiornato in data 17 ottobre 2019