Zen e Vanessa, tra identità e bullismo

 

Presentato nell’ambito del Biennale College alla 75esima Mostra del Cinema di Venezia, il primo lungometraggio di Margherita Ferri Zen sul ghiaccio sottile torna a casa approdando al Gender Bender Festival 2018, dove verrà proiettato sabato 28 ottobre in orario pomeridiano.

L’espressione “romanzo di formazione” prende forma dalla traduzione dal tedesco di Bildungsroman; è Goethe a spiegare come il termine “Bildung” possa essere tradotto sia come “ciò che è stato prodotto” che come “ciò che sta producendosi”, attribuendo alla formazione caratteri temporalmente non lineari. Ma è ancor più interessante notare come l’etimologia del sintagma “bil” rimandi a un significato originale di “potere miracoloso” e “magia”: così il concetto stesso di formazione si fonde con quello di trasformazione, una trasformazione che ha caratteri continui e che raggiunge alcune delle sue massime vette in quell’età un po’ mistica che è l’adolescenza.

Nato con l’aspirazione di diventare una narrazione formativa, Zen sul ghiaccio sottile si colloca a cavallo del mutamento, prima che il momento magico dell’auto-riconoscimento avvenga.

Sullo sfondo dell’appenino emiliano, la protagonista del lungometraggio Maia Zenasi (Eleonora Conti) è un’adolescente che intravede risposte a domande che non sa ancora come porsi: il ghiaccio sottile della pista di hockey su cui gioca si ricrea nello spazio che la separa dalla ricerca della sua identità. Il contesto cittadino dove si trova, piccolo e poco avvezzo alla clemenza verso chiunque non rientri in un determinato canone, di certo non supporta tentativi di rompere barriere sociali, ma anzi diventa luogo di bullismo e discriminazione. Maia viaggia in un limbo diviso tra solitudini e brusche pretese di attenzioni, in uno scontro perenne con se stessa e con il mondo che la circonda.

Stretta in una condizione che sembra appartenere solo alla sua persona, lungo il suo percorso Maia s’imbatte in un’inaspettata compagna di viaggio, Vanessa (Susanna Acchiardi), che condivide con lei dubbi e tormenti.

Entrambi i personaggi risultano soffrire – spiritualmente e fisicamente – la gabbia identitaria creata per loro da terzi; così conosciamo Maia come una “mezza femmina”, una “lesbica di merda”, una “cagna”, mentre Vanessa è semplicemente “la ragazza del capitano della squadra di hockey”. La realtà, però, risulterà essere decisamente più sfaccettata e meno piegata all’eteronormatività oppressiva e imperante.

All’uso di club e piste da ballo dense di luci, la regista Margherita Ferri preferisce quello che per sua definizione è un paesaggio emotivo. Attraverso frame di ghiacciai che si sgretolano, il pubblico riesce a percepire – non solo metaforicamente – il formarsi di ogni crepa e la caduta di ogni difesa sia nel rapporto tra Vanessa e Maia che nella relazione di quest’ultima con se stessa. La fotografia di Marco Ferri fa il resto.

Unicum nel panorama italiano, Zen sul ghiaccio sottile dimostra che è forse arrivata l’ora di affrontare temi come l’identità di genere, l’espressione di genere e l’orientamento sessuale in maniera cosciente, matura e meno stereotipata di quanto si è cinematograficamente abituati a fare. la storia di Zen, lungi dall’essere minoritaria, si rivela essere una fotografia reale di un Paese che cerca – lentamente e con difficoltà – di approcciarsi ad argomenti su cui si trova colpevolmente indietro.

Buona la prima, sperando che ne seguano molte altre.

Allerta ai naviganti: non trattenere la lacrimuccia per l’omaggio a Boys don’t cry.

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