“Siamo un collettivo femminista di sex worker e (altre/i) attiviste/i”, leggiamo sul sito di Ombre Rosse, “Lottiamo contro la violenza che tocca tutte le donne, cis e trans, abili e disabili, di ogni nazionalità, classe sociale, età, religione e razza, buone e cattive!”.

Abbiamo voluto intervistare una di queste lavoratrici sessuali che hanno scelto per loro stesse il nome di un oggetto difficilmente inquadrabile, come l’ombra: da un lato l’oscurità come un qualcosa che il sistema si ostina a rimuovere, dall’altro come quella dimensione che è sede di scoperta e sperimentazione. Ma tali ombre sono rosse, come rosso è il marchio dello stigma assegnato a una sessualità femminile percepita come peccaminosa, come rosso è l’ombrello simbolo del movimento globale di rivendicazione del lavoro sessuale. Un nome, quindi, che racconta una realtà complessa e una ricerca se è vero che, come scrive Paul Celan, “Dice il vero chi dice ombra” (Parla anche tu).

Il sex work è il vostro unico lavoro oppure svolgete anche altre attività?

Per alcune è unico lavoro, per altre è uno dei lavori, per altre ancora non è più una fonte di reddito.

Ci sono dei vantaggi nel lavoro sessuale rispetto ad altre tipologie di impiego? Se sì, quali?

Ci sono vari tipi di lavoro sessuale, quindi anche i margini sono mutevoli: lavorare in un locale offre alcuni vantaggi, lavorare fuori altri, in appartamento altri ancora. Sicuramente un punto di forza generale è il fatto che questo tipo di esperienza possa portare a indagare in modo approfondito il contatto con il proprio corpo, con la sessualità, con tempi e ritmi personali e anche con la cura di sé.

A quali violenze, invece, va in contro chi lavora come sex worker?

Anche in questo caso non si può generalizzare, dipende da che tipo di lavoro sessuale si fa: se fai la camgirl o il camboy è un conto, se lavori nel porno è un altro; su strada è ancora diverso ed è differente a seconda del contesto geografico e culturale in cui ti trovi. È chiaro che in appartamento da sole/i o in luogo non sicuro – se così si può dire –  i rischi di abusi, stupri e violenze aumentano. Altre tipologie di violenza, però, possono essere le multe e i fogli di via, le deportazioni e la permanenza nei vari Cie. E ancora lo stigma, il giudizio, lo scherno, le discriminazioniLo stigma è un’istanza che accomuna comunità LGBT+ e il mondo del lavoro sessuale. A quali processi di stigmatizzazione siete soggette?

Prova ad andare a dire in giro che fai la/il sex worker. Poi prova a chiedere un contratto di affitto senza altre garanzie che questo lavoro.

In cosa il sex work è diverso dalla tratta?

La tratta comporta varie misure di coercizione che io non ho conosciuto. Credo siamo titolate a parlare solo della nostra esperienza, non quindi per le altre persone: io posso dire che non ho avuto alcun genere di forzatura nella scelta di lavorare con il sesso e che ero più che maggiorenne quando l’ho deciso. Sul resto, spero si ascoltino le testimonianze di chi è passata per la tratta a scopo di sfruttamento lavorativo e sessuale.

Cosa rispondi a quanti affermano che vendere prestazioni sessuali sia il trionfo ultimo del capitalismo che mette a valore il corpo?

Credo che fare questo tipo di affermazione sia comodo: usare la vita di altre/i come bastione simbolico per garantire la propria pace interiore. Vorrei sapere che lavoro svolgono queste persone, come si smarcano dal capitalismo, che acquisti fanno, come e quanto rinunciano ai propri privilegi di classe e di cittadinanza. È molto facile chiedere a chi lavora con il sesso di assumersi l’onere di dover rinunciare a una fonte di reddito possibile solo perché nella loro testa è necessario, simbolicamente, mantenere il punto attraverso i nostri corpi, le nostre vite. Sarebbe coerente se si rinunciasse, in primo luogo, a partire da sé: rinunciare alle proprietà, alle professioni connesse al patriarcato – ad esempio ogni lavoro istituzionale, nel pubblico, oppure a tutte quelle professioni che si sono ottenute avendo avuto la possibilità di studiare o la fortuna di essere cresciute/i in contesti che offrono opportunità culturali e contatti spendibili nel campo del lavoro. Ancora, rinunciare a ogni lavoro che rimandi a un immaginario in cui le donne siano relegate a ruoli sessuali o di cura, a tutti i lavori in cui la cosiddetta “femminilità” o la “bella presenza” siano valore aggiunto, a tutto ciò che riguarda il lavoro domestico, l’assistenza a minori e anziani, perfino all’insegnamento nelle scuole dell’infanzia. Sarebbe il caso di rimettere in discussione radicalmente, con altrettanta veemenza, l’istituto matrimoniale o quantomeno eliminare tutta la componente economica a questo legata. Fatto ciò, vediamo insieme, da vicino, cosa vogliamo “vendere” e cosa no: abilità sessuali, sportive, artistiche, creative, relazionali, pedagogiche, di fatica, intellettuali o altro.

Come il femminismo si coniuga con il sex work?

Il femminismo evidenzia come il sistema eteronormativo e patriarcale sia radice e fondamento di tutti i rapporti sociali, tutti. In un quadro del genere è interessante notare che l’unico lavoro, l’unica attività che viene considerata indegna è proprio quella che riguarda la possibilità delle donne di autogestire le pratiche che investono il sesso. Sulle donne grava uno stigma particolare ed è chiaro che ci muoviamo in una dicotomia necessaria a regolare i comportamenti. La possibilità stessa che le donne decidano di fare quel che vogliono con il proprio corpo, anche usandolo per i propri fini, deve essere demonizzata. Dobbiamo essere angelicate, il sesso deve essere romanticizzato, le donne non possono che essere accoglienti a titolo gratuito. Il femminismo ha sempre analizzato e criticato questa (etero)normatività rispetto a corpi e sessualità. Non posso ovviamente dire che il lavoro sessuale sia intrinsecamente femminista, ma penso che il femminismo radicale che ho letto e conosciuto riconosca alle donne la capacità di autodeterminarsi. Il femminismo dismette una visione salvifica delle donne che le vede pronte a immolarsi, a rinunciare a tutto per accettare di buon grado che qualcun altro/a decida cosa è meglio per loro o che imponga l’agenda delle lotte che comunque sono discusse sopra di loro. Il femminismo riconosce alle donne la capacità di autodeterminarsi e di assumersi responsabilità nelle proprie vite reali, non nel mondo delle idee. Il femminismo non giudica le donne ma offre molti strumenti utili e alcune lavoratrici sessuali fanno tesoro di questi strumenti. È quindi una connessione possibile anche se non automatica.

Quali sono le prospettive della legalizzazione del lavoro sessuale in Italia?

Sinceramente, la situazione in Italia, oggi, è per molti aspetti preoccupante. Purtroppo penso che sentiremo ancora parlare di idiozie come “riaprire le case chiuse”. Queste sono allucinazioni nostalgiche e pericolose.

Cosa vuol dire criminalizzare il sex work?

Questo video risponde in modo piuttosto chiaro.

Per la comunità LGBT+ quello del coming out  è uno snodo fondamentale, voi andate in contro a una qualche forma di coming out? Le vostre reti affettive sanno di voi e del vostro mestiere? Avete figli con cui avete dovuto affrontare l’argomento?

La maggior parte di noi mette a conoscenza della propria attività lavorativa le persone con cui ha rapporti importanti. Mentre rispetto a figli, propri e/o del/della partner, alcune/i di noi non ne parlano esplicitamente, per via dell’età dei minori e della paura di una sorta di stigma riflesso: il timore che i/le figli/e possano introiettare lo stigma relativo al tema del lavoro sessuale. È una questione controversa verso la quale ci sono scelte diverse e molto soggettive.

Avete bisogno di essere salvate?

“Tanto quanto chiunque altra/o” potrebbe essere una risposta.

“No” potrebbe essere un’altra.

“Da cosa?” un’altra ancora.

Se stiamo parlando di essere salvate dal lavoro sessuale, per noi che lo scegliamo sarebbe un paradosso. Se invece parliamo di più equità, diritti, tutele e giustizia in generale, allora discutiamo non di interventi salvifici ma di garantire una serie di condizioni di vita migliori e una molteplicità di possibilità a molte persone che svolgono diversi tipi di lavoro. In questo senso – e solo in questo senso – sono possibili e auspicabili miglioramenti. In sintesi, non c’è nulla da cui vogliamo essere salvate ma crediamo che si possa fare molto per la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori sessuali. E non solo.

Sulla Falla di questo mese (n. 37) la prima pagina ospita un articolo di Pia Covre sul sex work. Cercatela nei nostri punti di distribuzione!