La giustificazione dell’omosessualità nella prospettiva natura-cultura

di Simone Astarita

Gli orsi, con i loro corpi grossi e pelosi, sanno sempre farsi valere come grande icona del mondo gay. È del 2014 la notizia che un orso passava – e forse continua a passare, noi glielo auguriamo – il tempo a spompinarne un altro in Croazia, quasi una volta ogni quattro ore.

Tutto nella norma, direte voi, ma qui si parla di veri e propri orsi bruni e la fellatio è tra le pratiche più difficili da osservare negli animali. Tuttavia, l’omosessualità in sé è ben diffusa tra cani, gatti e procioni, ma anche tra orche e salamandre. Che dire di salmoni, ragni e acari? Sì, gli acari: magari stanno facendo un’orgia lesbica nella vostra polverosa soffitta proprio ora.

La maggior parte degli avvistamenti di animali non eterosessuali è stata compiuta dopo il 1990. Prima, spesso mancavano, oltre alle tecnologie necessarie per compiere alcune di queste osservazioni, le condizioni sociali per accettarle: il mito che il piacere sessuale sia prerogativa dell’uomo e il tabù dell’omosessualità ha a lungo ostacolato la zoologia. Queste nuove scoperte, oltre a soddisfare la nostra curiosità e portare avanti la ricerca, dimostrano anche la naturalità dell’omosessualità, a lungo negata.

Il rischio però è che il discorso politico-sociale, dal microcosmo delle famiglie al macrocosmo delle elezioni, fondi su tale naturalezza la difesa della comunità LGBT+. A prescindere dalla difficoltà di confrontare specie diverse, come se umani, cavalli e formiche rosse facessero sesso allo stesso modo, le problematiche del fondare un’etica su base naturale sono ovvie: stupri e omicidi sono altrettanto comuni e quindi sarebbero ammissibili. Nell’usare la natura come giustificazione, siamo costretti ad accettare i terribili presupposti di chi ci attacca. Ma quali presupposti? Che ruoli affidiamo, noi come i nostri detrattori, a natura e cultura?

Nella complessa storia di queste idee, fondamentali per l’Occidente furono la divisione del mondo in res cogitans e res extensa, ossia mente e corpo, idee e mondo materiale, a opera di Descartes, e la distinzione nature e nurture, ossia natura ed educazione, inclinazioni innate e influenza della società, di Locke.

La contemporaneità, ancora legata a queste linee di pensiero, possiede un’antinomia natura-cultura che è, in tutte le sue varietà, fortissima, nelle università e al di fuori di esse. Nel rapporto tra questi due poli, si crede spesso che la natura, storicamente, venga prima della cultura. Questa visione non riconosce che la natura deve presupporre sempre una cultura, poiché ogni concezione di natura è definita da un complesso culturale prestabilito.

Se quest’osservazione meta-antropologica ci suona strana, dipende dalla nostra percezione della divisione natura-cultura: non semplicemente scienza contro arti ma utile contro inutile, oggettivo contro soggettivo, assoluto contro relativo, vero contro falso. Queste associazioni non sono innate ma storicamente contestualizzate. Di tutte queste opposizioni almeno una ci riguarda più da vicino: l’eterosessualità, pensata come norma necessaria per la riproduzione, è posta nella natura; l’omosessualità, per motivi sempre diversi, nella cultura. Il tentativo di fondare un’etica naturale, che sarebbe percepita come vera, assoluta, oggettiva, dipende dal nostro desiderio di portare l’omosessualità nella natura. Non vogliamo difenderla moralmente ma evitare che la discussione morale, così piena d’imprecisioni, dubbi e sfumature, possa avvenire.

È chiaro quindi come questo progetto sia irrealizzabile: la naturalezza dell’omosessualità non la può difendere, ma solo mostrare come sia sciocco chiedere agli animali come comportarci.

Siamo allora costretti ad affrontare la questione etico-morale sul piano della cultura? Forse, ma questo non ci obbliga ad accettare tutte le connotazioni che le sono state affidate. La lotta contro la società si situa anche nella ri-significazione dei suoi modelli. Possiamo anche mandare tutto all’aria: come alcuni antropologi pensano da un po’, si può mettere in discussione la stessa divisione natura-cultura. Questi due assi forniscono delle spiegazioni solo parziali dei fenomeni umani. Dovremmo tracciare altri confini, modificare le categorie entro le quali spieghiamo l’umanità, porci nuove domande. Un paio di orsi croati non possono certo aiutarci in questo. Lasciamoli soli ai loro pompini, che noi abbiamo il nostro bel da fare.

pubblicato sul numero 37 della Falla – luglio/agosto/settembre 2018