Quando un atto di solidarietà fa la storia

PRIDE, film del 2014, diretto da Matthew Warchus, verrà proiettato domenica 28 ottobre alle 10.00, presso il Cinema Lumière, in occasione del Festival Gender BenderNella sua essenza, è una storia d’amore tra due comunità molto diverse: da un lato i minatori gallesi in sciopero, dall’altro un gruppo di gay e lesbiche londinesi, decisi a sostenerli.

La prima volta che ho visto Pride era settembre di quattro anni fa. Quel giorno ho provato quello che si sente quando una storia soddisfa ogni desiderio: sorpresa, gioia, incredulità, commozione.

La seconda mi ha spinta a uscire dal mio guscio, che aveva la forma di un armadio in Veneto.

Alla diciottesima anche lo streaming, invece di propormi incontri erotici con donne vicine a me, mi ha suggerito di farmi una vita. Avevo passato la mia prima sessione d’esami all’Unibo, e la sera successiva avrei preso un treno verso casa dei miei genitori. Ricordo tutto ciò con molta chiarezza; la paura profonda, radicata, di non venire accettata, è difficile da dimenticare.

Durante il Gay Pride del 1984, Mark Ashton e Mike Jackson decidono di raccogliere donazioni destinate ai minatori in Galles, al tempo in sciopero per la chiusura delle cave, in una delle più crudeli operazioni del governo Thatcher, che li mise alla fame e li trattò come ribelli. Mark fonda la LGSM (Lesbiche e Gay Supportano i Minatori), e contatta personalmente una comunità di minatori di Onllwyn, che li vuole conoscere. L’integrazione tra questi due gruppi non è immediata, ma stare insieme li aiuta a riconoscere la demonizzazione dell’altro nella stampa di tutta la nazione. Entrambi hanno voglia di mettere in discussione la loro emarginazione sociale, e invece di concentrarsi solo sui loro problemi, si rifiutano di schierarsi individualmente: uno sberleffo a Margaret Thatcher e alla sua propaganda anti società.

La produzione è stata premiata da un BAFTA e dalla Queer Palm e una standing ovation a Cannes. Fortunatamente, conta numerose persone LGBT+, come del resto la pellicola, raccontata con un focus particolare su Joe “Bromley”, nuovo nell’ambiente londinese. Le difficoltà incontrate dai personaggi LGBT+ – tra cui i problemi familiari e l’omofobia interiorizzata – vengono trattate con delicatezza, ma senza sentimentalismi. “Nessuno può essere l’amico gay in un gruppo di amici gay”, ha commentato Andrew Scott in un’intervista. Ha ragione, e questo film è la prova che la caratterizzazione delle persone LGBT+ può sempre essere più profonda.

Quattro mesi dopo averlo visto, ho trascinato i miei genitori al cinema di una parrocchia a Vicenza. Quando le luci sono calate in sala, mi è tornata in mente la scena in cui le donne gallesi giocano con un dildo, ubriache, e quello che stavo per fare mi è piombato addosso. Oltre che un piccolo colpo al cuore a me, ha anche causato che negli Stati Uniti il film venisse etichettato “R”, limitando di fatto l’accesso ai minori di 17 anni non accompagnati. Nonostante quei pochi secondi siano soltanto allusivi e non espliciti, la promozione di questo film è stata di fatto censurata, e le parole “gay” e “lesbiche”, assieme al banner LGBT+, completamente rimosse. Malgrado queste terribili scelte di marketing, il film ha ottenuto il successo che si merita.

Ho fatto coming out a 20 anni, e ce ne sono voluti 30 a questa vicenda per raccogliere un pubblico e venire finalmente celebrata. Tra i titoli di coda, ci viene ricordato che le persone LGBT+ hanno diritti in Inghilterra perché le Trade Unions che rappresentavano i minatori nel 1985 portarono avanti una mozione per inserire la protezione di gay e lesbiche all’interno della linea politica del Partito Laburista.

Le storie delle comunità, che esistono e rimarranno importanti, tra alti e bassi, omofobia e accettazione, sono ancora fondamentali. Questa mi ha portata verso il Cassero, verso persone che non conoscevo, ma che mi hanno presa, e non mi hanno lasciato andare.

Come ci insegna Doctor Who, “Siamo tutte storie, alla fine”. Alcune, più di altre, ci danno la forza di andare avanti, di esplorare, di aprirci, di diventare sempre più noi stesse.

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