San Francisco 1978. È il 25 Giugno e per il Gay Freedom Day 240.000 persone manifestano nella città del Golden Gate con il motto “Come Out with joy, Speak Out with Justice” sotto l’insegna della prima bandiera rainbow, creata da Gilbert Baker. Otto colori: rosa per la sessualità, rosso per la vita, arancione per la salute, giallo per la luce, verde per la natura, turchese per l’arte, indaco per l’armonia e viola per lo spirito.

Originario del Kansas, nel 1970 Gilbert si trasferì a San Francisco dove prestò servizio militare per due anni. Terminata l’esperienza civile, nel ’72 cominciò a muovere i primi passi come attivista nella comunità gay che in quegli anni animava il quartiere Castro dedicandosi alla realizzazione di striscioni e stendardi per le marce che si svolgevano nella città. È in quegli anni che conobbe l’attivista gay Harvey Milk, il quale, nell’Aprile del ’78, lo esortò a realizzare un simbolo che racchiudesse in sé tutte le diverse realtà che componevano il movimento omosessuale americano di quegli anni. “Fino a quel momento – racconta Baker – l’unico simbolo che veniva utilizzato per rappresentarci era il triangolo rosa usato dai Nazisti nei campi di concentramento. Cercavo qualcosa che portasse un messaggio di speranza”.

Nel libro Out in All Directions: The Almanac of Gay and Lesbian America si racconta come Gilbert Baker, insieme ad una trentina di volontari, cominciò a realizzare la bandiera rainbow nella soffitta del 330 di Grove Street. Nonostante l’omosessualità fosse stata già depatologizzata dall’American Psychological Association le ripercussioni e le aggressioni nei confronti delle persone omosessuali erano frequenti e molto violente tanto che – come racconta lo stesso Baker – erano costretti a lavorare in piena notte per evitare di attirare l’attenzione. A dispetto delle più rosee aspettative, inoltre, quello che doveva essere un semplice simbolo per identificare la comunità locale di San Francisco si trasformò nel giro di qualche mese in un fenomeno nazionale tanto che portò Gilbert Baker a instaurare una collaborazione con la Paramount Flag Company nel Novembre dello stesso anno, per produrre su larga scala la sua creazione. A causa di problemi tecnici e di un eccessivo costo nel reperire i colori, alla fine del ‘79, dovette eliminare il rosa, l’indaco e sostituire il turchese con il blu, andando così a creare la versione che tutt* noi oggi conosciamo.

Negli anni successivi cercò di diffondere il più possibile il suo lavoro in America realizzando una versione personalizzata per ognuno dei 50 membri degli Stati Uniti. A causa della chiusura della Paramount Flag Company, Baker accantonò la produzione commerciale delle bandiere rainbow e si trasferì a New York dove cominciò a progettare nuovi metodi per diffondere l’arcobaleno che aveva ideato creando installazioni sempre più imponenti. Per commemorare il 25° anniversario dei moti di Stonewall nel 1994, ad esempio, ricreò una versione a otto colori della bandiera rainbow di circa due chilometri sorretta da cinquemila persone. Nel 2003 ne realizzò una che si estendeva dal Golfo del Messico all’Oceano Atlantico, continuando così fino alla sua scomparsa, lo scorso 20 Marzo, cercando nuovi modi per diffondere quel simbolo diventato “uno strumento di coesione e una dichiarazione d’orgoglio per il nostro movimento” e mentre ci tingiamo dei colori che più ci rappresentano conserviamo il ricordo di chi ha iniziato la rivoluzione rainbow.

Rest in Pride, Gilbert.