Nel maggio del 2008, mentre Bologna fremeva nei preparativi per il Pride Nazionale, dalle sponde dell’isola di Lesbo un canto di rivendicazione si levava contro quella “L” che è propria della sigla LGBT+.

Il giornalista Dimitris Lambrou, insieme ad altri abitanti di Lesbo, sostenendo che tutte le realtà dovessero bandire il termine “Lesbica” e derivati per riferirsi alle donne omosessuali, citava in giudizio l’Olke – Unione Greca Gay e Lesbiche per appropriazione indebita. Lo scandalo divenuto presto internazionale, con tanto di annesso totonome, rientrò qualche mese dopo con il rigetto dell’ingiunzione da parte del tribunale di Atene che tra le motivazioni adduceva anche il rischio di un pericoloso calo del turismo nell’isola da parte di donne omosessuali se queste non avessero potuto più definirsi lesbiche. Insomma, di necessità virtù.

pubblicato sul numero 33 della Falla – marzo 2018

immagine realizzata da Claudia Tarabella