Premiato al Sundance Film 2016, approda a Gender Bender 2016 in anteprima nazionale l’ultimo film di Kerem Sanga, First Girl I LovedLiberazione, autodeterminazione, coming out, amore e desiderio sono le parole chiave di questo film. Una storia inventata che si mostra attuale e calzante con il vissuto di molti e molte ma che non sa convogliare l’emotività necessaria.

Per il suo sabato sera finale Gender Bender ci regala la storia della diciassettenne Anne, alle prese con la sua prima cotta nei confronti della ragazza più popolare della scuola, la giocatrice di softball Sasha.

Quando la ragazza decide di dirlo al suo migliore amico, Cliff, che invece coltiva una segreta passione per Anne, questo reagisce aggressivamente in preda alla gelosia e s’impegna al massimo per sabotare la loro potenziale relazione. Ciò non bastasse, Sasha, per quanto a sua volta interessata, è troppo spaventata e confusa e si tira presto indietro. Tra ripicche, vendette e fraintendimenti le cose diventano presto più complicate di quanto sia le due ragazze che il ragazzo potessero immaginare.

Il film fin da subito ci fa capire di non voler raccontare né la classica storia di primo amore adolescenziale, né tanto meno il solito triangolo tra teenager confusi: il regista vuole piuttosto entrare il più possibile nell’animo profondo della protagonista, nella sua relazione con il mondo esterno e il suo crescente innamoramento.

La tecnica per ottenere questa immedesimazione del pubblico con Anne è interessante: nel seguire le vicende siamo trascinati in un continuo avanti e indietro della trama, dove l’ordine cronologico della storia salta tasselli per poi recuperarli più avanti con dei flashback quanto meno insoliti.

Anche se il tutto può inizialmente sembrare disturbante, a posteriori riesce a farci capire i sentimenti che sorreggono le azioni e le parole dei protagonisti.

La parte iniziale della relazione fra Anne e Sasha risulta comunque leggermente sacrificata in questo stile disordinato e con poche riflessioni sulle singole emotività, mentre la seconda parte, fatta di conflitti, imbarazzi e paure, ha l’opportunità di risollevarsi e rendere interessanti i continui fallimenti relazionali tra i protagonisti trasmettendo la non comunicabilità e l’incertezza tra Anne, Sasha e Cliff al pubblico forse solo grazie alla poca chiarezza con la quale viene raccontata la storia.

Insomma, il tentativo del regista è molto interessante e con passaggi a tratti geniali, ma l’impressione è che non raggiunga del tutto lo scopo: per quanto la bravura di Dylan Gelula (Anne) riesca a delineare un profilo interessante del suo personaggio, facendoci senza dubbio entrare in empatia, tutti gli altri personaggi sembrano quasi superflui nella storia (eccezion fatta per Cliff, unico personaggio che riesce a regalarci un minimo di chiarezza di intenti e sentimenti).

Nel culmine di pathos della storia, l’incontro con genitori e preside per il problema riguardante l’annuario, tutto viene spento da due dialoghi inconcludenti tra le madri di Anne e Sasha e da quattro battute neanche troppo brillanti di Cliff.

Uscendo da quella scena, nel momento in cui Anne ritrova la sua amata bicicletta, ci rendiamo forse conto che di tutto il film ci ha sconvolto di più il furto dell’amata due ruote rispetto ad uno qualsiasi dei contrasti umani della storia.

Sicuramente un’idea originale ed uno stile curioso ma da rivedere, possibilmente con del materiale più definito e che non voglia a tutti i costi tentare di replicare la capacità introspettiva de ‘La vita di Adele’. Siamo anni luce lontani.

 

Per saperne di più

Trailer ufficiale del Film 

Il programma di cinema di Gender Bender 2016

Il programma completo di Gender Bender 2016

Il sito ufficiale di Gender Bender