LA LEZIONE DI IERI PER IL COMPITO DI OGGI

Il fascismo rappresenta un pericolo reale oggi in Italia? La questione è posta da molti osservatori da diversi punti di vista, non senza ragioni. Quali sono gli elementi costitutivi di questa preoccupazione? Per affrontare il tema con serietà, occorre innanzitutto distinguere tra fascismo storico e neofascismi.

Il fascismo nel periodo tra le due guerre mondiali è stato un grande progetto politico, criminale certo, ma capace di un ampio respiro progettuale e di raccogliere consenso. Si è trattato di un fenomeno che ha investito tutta l’Europa e le Americhe perché rappresentava una risposta nuova, forte e moderna ai moderni conflitti della società di massa attraversata da due tremende crisi, quella del primo dopoguerra e quella del 1929. In alcuni paesi, a partire dall’Italia, che ha la primogenitura ideologica e di governo, ha ottenuto il potere, ma anche nei paesi, di più solida democrazia, in cui non ha vinto, il fascismo è stato presente e ha avuto una quota variabile di consenso, come si è visto durante la seconda guerra mondiale quando, nei paesi occupati dalle dilaganti forze dell’asse, si sono formati governi di fascisti locali per appoggiare l’occupazione militare, fornendole una declinazione ideologica locale.

Nella seconda fase della guerra la stessa Italia, uscita unilateralmente dal conflitto e occupata dai tedeschi, ha composto un governo di fascisti italiani che ha appoggiato gli occupanti guidato dal redivivo Mussolini. E occorre considerare che tali governi godevano di un certo consenso, pur se non misurabile, essendo impedita la libera manifestazione del dissenso. Si pensi alla Francia democratica, sconfitta militarmente e occupata, dove, però, non è mancato chi ha parteggiato per i tedeschi e ha collaborato con loro nella cattura degli ebrei. Col che si dimostra che il fascismo, anche quando si manifesta nel suo aspetto più truce, quale regime di feroce occupazione militare in tempo di guerra che contempla ogni violenza, è in grado di affascinare almeno una parte della popolazione. Per capire il fascismo e, soprattutto, la sua pericolosità, occorre riflettere non già sulla violenza, sull’autoritarismo sulle imposizioni, ma sulle seduzioni e sugli inganni di cui è capace.

E il neofascismo? Si può affermare che ha conosciuto due stagioni diverse dopo la seconda guerra mondiale. Una prima fase, agita da protagonisti del fascismo sconfitto e da nuovi adepti, caratterizzata dal minoritarismo e dall’accentuazione del vittimismo, tratto tipico di ogni fascismo. Sono i decenni delle nuove o rinnovate democrazie europee, nelle quali le minoranze fasciste sono ininfluenti, anche se pericolose, come nel caso del terrorismo nero in Italia.

Con gli anni Novanta del secolo scorso e la globalizzazione, il neofascismo ha mutato aspetto, non dal punto di vista ideologico, quanto da quello dell’aspirazione a divenire maggioranza. In ciò è stato aiutato dalla fine della “Repubblica dei partiti” e con questa del patto antifascista sul quale erano stati ricostruiti i paesi europei distrutti dalla guerra. In nessuno di questi, nessuna forza politica si sarebbe mai alleata con una forza neofascista. Invece, nell’ultimo quarto di secolo i neofascisti, sdoganati, rivendicano apertamente le proprie radici ideologiche, né sono applicate le leggi che perseguono l’apologia o la ricostituzione del partito fascista.

Oggi il problema del fascismo non è rappresentato tanto da partitini e gruppi di limitate dimensioni. Nella prima parte della sua vita la Repubblica italiana ha potuto tollerare un 4-8 % di consensi al Msi, un partito fondato da criminali della repubblica di Salò, percentuali che Forza Nuova e Casa Pound sono ben lungi dal raggiungere. Ciò che oggi appare pericoloso è la progressiva accettazione di idee, strutturali all’ideologia fascista, divulgate non solo dai neofascisti dichiarati, ma che allignano e crescono in partiti e in settori della società che dovrebbero essere democratici. Una volta, il partito neofascista, il Msi, era isolato, circoscritto; oggi il messaggio neofascista, se non i gruppuscoli che si definiscono tali, si diffonde. Non si tratta del grande progetto dei Mussolini e degli Hitler, ma dell’attuale pervasività di elementi strutturali del loro costrutto ideologico. Non sono ancora un unico progetto eversivo, ma imbarbariscono la vita pubblica e pongono una torva ipoteca sul futuro.

Ne citerò soltanto due, che considero centrali: la semplificazione in materia di conflitto e violenza, e l’idea di nazione.

Il fascismo considera i normali conflitti che attraversano la società come attentati all’ordine “naturale” e tradizionale, dunque trasforma il conflitto in guerra, e la combatte per far prevalere con la forza uno dei contendenti, quello più rassicurante per l’ordine sociale. Dunque, semplificazione e violenza. Conflitti come quello di classe, quello di genere, quello religioso, etc. sono affrontati imponendo la sconfitta dei lavoratori e delle loro organizzazioni politiche e sindacali (lo squadrismo prima e il Tribunale speciale poi), delle donne (l’adulterio femminile, reato penale nel ventennio; l’odio per il femminismo oggi), degli omosessuali (la privazione della libertà allora, l’omofobia violenta oggi), delle religioni non cattoliche (l’imposizione del cattolicesimo religione di Stato nel 1929, il fastidio conclamato per i musulmani oggi).

Per il fascismo la nazione è fondata sul nesso tra terra e sangue: uno spazio definito da tempo immemorabile che appartiene a un unico popolo identificato in termini di sangue, discendenza, stirpe. In una parola, razza. E ancora, religione e tradizioni. Per questa concezione della nazione tutti i fascismi sono costituzionalmente razzisti e concepiscono una nazione definita per esclusione: chi ne è necessariamente fuori. Non solo, per proteggere la propria nazione occorre preservarne la purezza. Oggi è difficile distinguere tra un neofascista dichiarato e un politico soi-disant democratico che per riferirsi alla comunità nazionale usa termini come “identità” e “appartenenza”, che suonano come lugubri minacce contro tutti gli altri. L’idea di nazione democratica, proclamata dalla Rivoluzione francese, reclamata dal Risorgimento, costruita dalla Resistenza e sancita dalla nostra Costituzione, che ne è stata l’espressione più alta, consiste in una nazione come perimetro del patto tra cittadini, e tra i cittadini stessi e le istituzioni delle quali si dotano. Dunque aperta e inclusiva.

La nostra società, spaventata dalla crisi e dalla globalizzazione, rischia di trovare facile rifugio in miti identitari tradizionali, che riportano ad una terra e a un sangue apparentemente rassicuranti, per i quali avrebbe senso battersi. Si tratta di una semplificazione e di un inganno distruttivi.  

Oggi che la posta in gioco è altissima e i pericoli gravissimi, la battaglia è principalmente culturale e di lungo periodo: la democrazia è stata erosa nel tempo e occorre tempo per ricostruirne una consapevolezza diffusa. Non è sufficiente cambiare di segno alle tesi neofasciste, occorre costruire un mondo diverso.

pubblicato sul numero 34 della Falla – aprile 2018