fuori tutte/i!

di Nicola Riva

La questione della “visibilità” è da sempre oggetto di grandi e vivaci discussioni all’interno della nostra comunità. Non è un caso che sia così, trattandosi di una questione con la quale ciascuna/o di noi persone omosessuali e bisessuali ha dovuto confrontarsi nel corso della propria vita: siamo state/i tutte/i, chi più chi meno, delle “velate”, delle “criptochecche”. Ed è facile che il nostro punto di vista sul tema risenta in maniera significativa della nostra situazione soggettiva (ma non è sempre così?). Si prendano, dunque, le seguenti riflessioni come quelle di un omosessuale orgoglioso di essere tale, dichiarato da molto tempo, più preoccupato di essere identificato come eterosessuale – quale forma intollerabile di misconoscimento! – che di apparire omosessuale. Ebbene, io credo che la piena visibilità sia un traguardo che ciascuna/o di noi dovrebbe porsi, per sé, innanzitutto, e per tutte/i noi, in seconda battuta.

Capita spesso di sentir dire che non si possa generalizzare, che la scelta se essere o meno visibili e, se visibili, più o meno tali, è una scelta privata. È indubbio che vi sia un senso in cui a ogni scelta, a ogni storia di vita, nel suo essere diversa da ogni altra, sia dovuta una forma di rispetto. Perché tutto (o quasi) può essere spiegato, tutto può essere capito. Ed è altresì vero che la visibilità non comporta sempre gli stessi costi per le persone, perché le circostanze non sono sempre le stesse. E, tuttavia, il rispetto non deve essere confuso con la stima. Se a tutte le persone (o quasi) è dovuto il nostro rispetto, solo alcune di loro meritano la nostra stima. E io credo che le persone che scelgono di essere visibili – o che banalmente lo sono; non sempre si è nella condizione di poter scegliere – meritino tutta la nostra stima; chi sceglie di non esserlo, no, non per quello almeno. Non me ne vogliate.

Essere visibili è un atto di coraggio. Affermare apertamente la propria omosessualità o la propria bisessualità – in famiglia, sul luogo di lavoro, con tutte le persone con cui si entra in contatto – significa scegliere di non soccombere alla paura del rifiuto. Significa affermare e difendere ciò che si è e ciò che si prova: il valore della propria esistenza e delle proprie relazioni. Mi chiedo spesso come si possa fingere di essere eterosessuali senza provare un po’ di vergogna, come si possa relegare la propria compagna o il proprio compagno all’invisibilità, arrivando a negarne l’esistenza, senza sentire di stare consumando il tradimento più meschino. Che valore ha un sentimento che non si ha il coraggio di affermare e di difendere? Come è possibile accettare di vivere una vita – o anche solo parte di una vita – nel silenzio e nella menzogna? E per cosa? Per salvaguardare relazioni basate sulla finzione? Con persone che temiamo non essere in grado di amarci per ciò che siamo, e che magari, invece, lo sarebbero se solo offrissimo loro l’occasione?

Ma la visibilità non è solamente una questione privata, che ha a che fare con la qualità delle nostre relazioni. È indubbio, infatti, che la visibilità abbia contribuito più di qualsiasi altra cosa (più delle serie tv statunitensi e della musica pop) a cambiare l’attitudine diffusa all’interno della nostra società nei confronti dell’omosessualità e della bisessualità, creando un ambiente per noi più ospitale. Perché quando scopri che una persona a te vicina – una persona che ami – è omosessuale o bisessuale, è molto probabile che qualcuno dei tuoi pregiudizi inizi a vacillare. Anche solo per questo motivo, perché attraverso la visibilità è possibile trasformare il mondo in cui viviamo, essere visibili è un dovere per ciascuna/o di noi. Non esserlo significa trarre vantaggio dalle scelte coraggiose di chi ha scelto di esserlo, rifiutandosi di fare la propria parte. Non proprio qualcosa di cui essere orgogliose/i. Non proprio qualcosa che ci rende degne/i di stima. O no?

pubblicato sul numero 1 della Falla – gennaio 2015