teoria ibrida della visibilità invisibile nel calcio femminile

di Paola Guazzo

Ho avuto una “cara amica” eterissima e  giocatrice di una Nazionale, anni fa. No, non questa brava e celebrata nazionale di football, un’altra storia, dotata tuttavia di un suo perché meno sponsorizzato. Mi ha detto che ovviamente le calciatrici sono tutte eterissime, solo le italiane però. Ci sono 38 coming out tra le calciatrici del mondiale, parlo solo delle più famose, dalla Kerr a Megan Rapinoe. Da noi, invece, come ha dichiarato Martina Rosucci al Corriere, ripresa poi da Dagospia:  «Ce n’è… Ma è vero com’è vero che il calcio maschile è pieno di gay. Solo che gli uomini sono più protetti e meno disposti ad ammetterlo. Non riusciremo mai ad uscire da questo moralismo bigotto. Rispetto all’Europa, siamo una società molto indietro. Le calciatrici straniere si sentono libere di twittare foto con la fidanzata, baci lesbici… Sai che casino scoppierebbe da noi?» Per carità, non muoviamo niente, sia mai che ai delinquenti del patriarcato che ci domina non piacessimo più e non ci concedessero più il professionismo. Perché è una gentile concessione, non un diritto  violato da una legge iniqua (la 91/81, ndr), sappiatelo. Comunque sia chiaro che nessuna deve fingere un bel niente, dato che in Italia siamo tutte eterissime, mica solo le calciatrici. Certo, senza fidanzati, ma con tanti fratelli sorelle nipoti, un cuore grande così, tra una grigliata in spiaggia (con le amiche), un braccio di ferro (con le amiche), una bella serata fra gli scoiattolini Disney (con le amiche), un viaggio a Montescudaio (con le amiche), un mojito, due mojiti, uno spritz (con le amiche), un sigaro e un baffo finto (con le amiche), un viaggio a Cuba (con le amiche), un serio confronto tecnico di addominali (con le amiche), un cappello (con le amiche),  un confronto di pettorali (con le amiche), un nuovo reggiseno sportivo (con le amiche). Eterissime tra loro, ovvio. 

Il pubblico più impegnato, sempre alla ricerca  non dico di una Megan Rapinoe ma semplicemente di qualche momento in cui i corpi e le parole siano un po’ meno scissi, se ne vadi all’estero o su Instagram a vedere quanto se ne sbattono alcune americane di essere lesbicissime, quanto ne hanno fatto un’immagine di sé a tutto campo, serena, potente e felicemente identitaria. Lesbica non solo non è un insulto, è un valore anche di gruppo che molte vivono quotidianamente, ognuna nel suo ambito. Ed è vero anche il contrario: «you’re only as sick as your secrets» diceva Rita Mae Brown, scrittrice lesbofemminista americana che indusse la sua fidanzata Martina Navrátilová a fare coming out. Erano gli anni Ottanta del secolo scorso, ed esistevano ancora gli orologi a cucù nei tinelli delle nostre eterissime nonne Papere. Ora il coming out conviene solo a chi è sicura di essere sponsorizzata da un opificio del lavender washing, dalla carta di credito al reggiseno sportivo? Un coming out deve convenire, o accadere perché fa parte di te vivere senza nasconderti? 

Comunque in fondo mi piace questo essere eterissime e stare solo tra donne, tra una grigliata e un match, eterne ragazze dedite solo a lavoro e amiche, mi sento quasi eterissima anche io. Come ha fatto Rapinoe a dire che c’è del lesbico in ogni gol proprio non so. Forse dovrei entrare in un fandom e leggermi qualche fanfiction, ma no… che faccio? magari trovo del buon porno lesbico non ad uso dei segaioli nostrani e io sono, beh, eterissima. Un «giramela in porta, Megan» non potrei sopportarlo. 

Mi scrive un’amica «Ma le segui su Instagram le due calciatrici americane che stanno ufficialmente insieme, la Krieger e la Harris? Devi! Delle bellone favolose». In effetti, anche da eterissima, sinonimo di italianissima, so apprezzare il lato estetico. Mi accorgo che anche un gruppetto di giocatrici dell’italica nazionale le segue. Loro, e anche alcune di altre nazionali che hanno fatto coming out. Ovviamente solo come esempi sportivi. Professioniste e sponsorizzate dalle multinazionali. Eterissime.