di Vincenzo Branà

Negli episodi di violenza, chi certifica l’autenticità delle vittime? Chi ci dice se quella è davvero una vittima, oppure se un po’ “se l’è cercata”, “le è convenuto”, o “forse le è perfino piaciuto”? L’ultimo disgustoso anfratto in cui si è calato il dibattito pubblico sulla violenza di genere è quello spalancato dal caso Weinstein, in particolare della denuncia di stupro fatta da Asia Argento. L’attrice è da subito diventata bersaglio di un odio spietato, che si è manifestato attraverso un martellante slutshaming, una delle forme più ricorrenti del discorso d’odio sul web.

Accanto all’assurda pretesa di giudicare le parole – e le vite, le scelte – delle donne, atteggiamento in cui confluiscono un paternalismo odioso e un’insopportabile misoginia, si costruisce la solita inaccettabile impunità dei maschi, che godono di questo dibattito come di un processo di distrazione di massa, come se l’appannaggio esclusivo del potere ai maschi e l’abuso sfacciato che ne fanno, violando non solo il corpo, ma la volontà, l’orgoglio e la dignità delle donne, non fosse l’unico cuore del problema. Poi ovviamente, la chiosa di chi problematizza l’autenticità delle vittime, è sempre: “questa è la mia opinione”. E per carità, è sacrosanto averne una. Ma poi bisogna stabilire su quali opinioni si fondano le comunità politiche, che siano Partiti, sindacati o associazioni.

Quando il Cassero ha incrociato i propri percorsi con la rete femminista Non una di meno, lo ha fatto compiendo una scelta chiara, aderendo a una visione. Non una donna di meno. Non una vittima sarà lasciata indietro, nessuna donna verrà abbandonata al suo aguzzino. È un punto sul quale all’interno della nostra comunità politica sentiamo di non dover mediare né approssimare. È uno dei punti su cui si fonda il nostro stare insieme. Ed è bene ripeterselo qualche volta.

pubblicato sul numero 29 della Falla – novembre 2017