di Francesca Maviglia

1967. Il parlamento britannico approva il Sexual Offences Act, un atto parlamentare che decriminalizza il rapporti omosessuali in Inghilterra e Galles. A breve seguono la Scozia e l’Irlanda del Nord, nel 1981 e 1982. La legge che aveva portato alla rovina personaggi del calibro di Oscar Wilde e Alan Turing giunge all’apparenza alla fine dei suoi giorni; in realtà, numerosi cloni identici di quella legislazione continuano a essere vivi e vegeti in altri angoli del mondo. Gli anni ‘60, infatti, vedono l’ascesa dei movimenti per l’indipendenza e il progressivo crollo dell’Impero Britannico e Francese. Il processo di decolonizzazione dell’Africa e dell’Asia si compie all’incirca in contemporanea alle prime lotte per i diritti LGBT+ in Europa, con il risultato che quando la mentalità nel nostro continente inizia ad aprirsi, le ex-potenze coloniali hanno ormai abbandonato i propri territori, e il cambiamento non fa in tempo ad arrivare oltremare.

Al giorno d’oggi, tendiamo a considerare l’accettazione degli orientamenti sessuali e delle identità di genere diverse dal canone eteronormativo come un valore tipicamente europeo e nordamericano. Sono note a tutti le leggi contro la propaganda omosessuale in Russia, l’incarcerazione dietro accusa di omosessualità dell’ex-ministro malese, le esecuzioni in Iran e Arabia Saudita, per finire con le recenti brutalità commesse dall’ISIS. Pur con tutti i nostri problemi, il mondo occidentale è generalemente più accogliente, e spesso ha condannato esplicitamente le violazioni dei diritti umani delle persone LGBT+ in altre aree del mondo. Nel sentire comune, le culture sub-sahariane, il mondo arabo, il cosidetto “machismo” latinoamericano sono in netta antitesi con i valori di tolleranza tutto sommato soddisfacentemente accettati nelle democrazie liberali. In realtà, la questione è un po’ più complicata. La maggior parte dei paesi che criminalizzano l’omosessualità lo fanno sulle basi di codici legislativi rimasti come retaggio dell’era coloniale e fondamentalmente importati da potenze straniere. In particolare, le nazioni che una volta appartenevano al Regno Unito sembrano passarsela particolarmente male: su 16 ex-colonie britanniche nell’Africa sub-sahariana, l’omosessualità rimane illegale in 15 – contro a un 7 su 17 di quelle francesi e a un 4 su 8 per quanto riguarda territori posseduti da altre potenze.

Chiariamoci: non è che voglia proporre il mito di un mondo pre-coloniale tutto rose e fiori, con un “buon selvaggio” un po’ hippie che praticava l’amore libero in comunione con la natura, finché l’Uomo Bianco non arrivò a contaminare quel primitivo Eden queer con la propria omofobia coloniale. Consideriamo per esempio la religione Islamica. Così come la Bibbia, anche il Corano contiene passaggi che esplicitamente condannano i rapporti sessuali omosessuali; possiamo immaginare che anche prima dell’epoca coloniale, i paesi musulmani Medio-orientali, Africani e del Sud-est Asiatico non assomigliassero esattamente a Castro Street. Tuttavia, non sappiamo come si sarebbe evoluta la cultura di queste regioni se non ci fossero state interferenze straniere, e in particolare l’Impero Britannico. Possiamo provare a farcene un’idea osservando il caso di tre nazioni vicinissime: Indonesia, Malesia e Singapore. La popolazione indonesiana è per 90% musulmana, eppure, con eccezione di alcune regioni, l’omosessualità è legale nella maggior parte del paese; l’Indonesia fu una colonia olandese. Per contro, è criminalizzata sia in Malesia (paese musulmano) che a Singapore (paese non-musulmano), entrambe ex-colonie britanniche.

La convinzione che la tolleranza per l’omosessualità sia un prodotto occidentale è così radicata che vari governi hanno cominciato a rivendicare l’omofobia come identità culturale da proteggere da una globalizzazione forzata. Il presidente dell’Uganda, nel firmare la sua infame legge anti-gay, ha accusato l’Occidente di imperialismo sociale e di voler corrompere la gioventù ugandese; Vladimir Putin ha criticato la “promozione aggressiva dei diritti delle minoranze sessuali” dell’Unione Europea, reclamando un’esplicita contrapposizione tra la Russia e l’Europa. La realtà, però, è più complessa e sfumata: presentare la questione dei diritti LGBT+ come un “Noi contro Loro”, “the West vs. The Rest”, è oltre che inaccurato anche particolarmente dannoso perché provoca immediatamente sentimenti anti-imperialisti. È bene tenerlo a mente se vogliamo provare a combattere l’omofobia nei paesi non-occidentali.

pubblicato sul numero 7 della Falla – luglio/agosto/settembre 2015