LA SOTTILE LINEA TRA MARKETING E SUPPORTO

Pinkwashing: pratica di aziende o Stati di presentarsi come LGBT+ friendly per profitto economico.

Nel mese dell’orgoglio LGBT+, mentre l’Onda Pride invade tutta l’Italia, il mercato si è riempito di prodotti arcobaleno. Borsette, adesivi, make up, piume, glitter, tacchi, vestiti, magliette, bandierine, e non solo. Da quando per tutti i marchi è diventato conveniente presentarsi come LGBT+ friendly, a giugno unicorni festosi strizzano l’occhio dalle vetrine alla comunità rainbow.

Le pubblicità, che mostrano sempre una versione esageratamente gioiosa della vita quotidiana, possono essere molto visibili (o addirittura virali) e lanciare messaggi veri di inclusività. Quando la rappresentazione è ben pensata, uno spot riesce a mostrare al pubblico che sì, anche le persone LGBT+ possono essere felici e incredibilmente soddisfatte. L’anno scorso il marchio di sughi Althea ha scelto di mostrare nelle pubblicità dei suoi prodotti cinque coppie, di cui due omosessuali, baciarsi teneramente. L’audacia di questa campagna, che ha messo al centro l’eguaglianza delle coppie, è stata punita con l’obbligo di trasmissione solo dopo le 23.

Purtroppo la televisione e i social media pullulano di inserzioni apparentemente inclusive, le cui forme dovremmo imparare a riconoscere. Mani che si stringono senza mostrare i volti, o i corpi, delle coppie in questione. Arcobaleni insospettabili e scritte generiche come “Love is love”, “L’amore vince” o “L’amore è dappertutto”. Oggetti appaiati con diverse forme di un prodotto, che trivializzano l’orientamento sessuale a una mera scelta di merce.   

Esempi che possono non apparire problematici, addirittura simpatici in alcuni casi, ma ciò che stanno facendo è farsi riconoscere solo da chi è abituato a raccogliere le briciole di ogni arcobaleno. Non narrano una storia, negano la visibilità ai veri corpi e volti delle persone LGBT+, riducono il Pride alla vaga celebrazione di coppie monogame di gay e lesbiche. Non sono creati da persone queer, perché il fulcro dell’interesse è unicamente la promozione del marchio.

Nonostante tutto, il capitalismo è riuscito anche a dare visibilità a campagne arcobaleno senza scopo di lucro. Absolut, una marca di vodka che da tempo supporta i diritti LGBT+, lo scorso giugno ha creato una campagna con Stonewall UK, donando all’associazione 50mila sterline.

Lush ha stretto una partnership con Allout, donando a più gruppi LGBT+ il ricavato dalla vendita di saponette che portavano l’hashtag #GayIsOk.Prima di finanziare associazioni o di dotarsi di un carro al Pride, le aziende dovrebbero costruire una effettiva policy di non discriminazione dei loro dipendenti; per esempio, garantendo uguali diritti di maternità e paternità a genitori LGBT+, o usando in tutti i casi il nome scelto dalle persone trans* e non binarie. È doveroso pretendere che le persone LGBT+ non vengano trattate come quote da riempire per presentare una facciata amichevole.

Ai consumatori, invece, va il caloroso invito di sostenere i gruppi LGBT+, locali o internazionali, e non solo per il Pride. In questo panorama politico, che sta spingendo anche i più timidi e timide a partecipare al Pride (qualche settimana fa Torino ha contato più di 100mila partecipanti, Trento quasi 10mila al suo debutto): contribuire alla riuscita di una giornata ricca di orgoglio è un gesto che porta ben più lontano dell’arcobaleno.

Il Bologna Pride 2018 è totalmente autofinanziato da associazioni LGBT+ del territorio bolognese. Potete aiutare il crowdfunding del Pride donando su Idea Ginger. R-esistiamo!

Immagini tratte da (nell’ordine): twitter.comsughialthea.it, theonlinecircle.com, facebook.com, lush.com, lush.com e immagine di copertina da: absolut.com