IL MERAVIGLIOSO FEMMINISMO DI OZ

di Francesco Colombrita

Nel 1900, mentre in Europa iniziava a circolare L’interpretazione dei sogni di Freud, una bambina del Kansas si addormentava nel bel mezzo del tornado più celebre della letteratura. Al suo risveglio, senza saperlo, si trovava in un mondo molto diverso dal suo: le terre di Oz. Di lì a breve la più famosa fiaba moderna racconterà, con le parole di Chiara Lagani (curatrice dell’antologia I libri di Oz, Einaudi, 2018), come la piccola Dorothy «ucciderà, entro poche decine di pagine, due streghe malvagie, libererà un popolo oppresso e salverà due uomini e un leone da un sicuro destino infelice. Smaschererà poi un mago imbroglione [che ha tutta l’aria di reggere una società patriarcale, nda], rispedendolo a casa sua».

Non solo Frank Baum, genero di una nota suffragetta, ha scelto una bambina come eroina della sua opera, ma nemmeno ha mancato di riempire le terre di Oz di personaggi femminili fuori dal comune, di streghe buone e malvagie, ma le cui colpe sono solo transitorie, e di lotte che, inquadrate all’inizio del ‘900, sembrano segnalare un certo progressismo.

Il secondo libro della saga, che Baum scrive subissato da lettere di piccoli lettori, inizia con la fuga del piccolo Tip dalla strega Mombi, che lo tiene prigioniero. Nella sua corsa verso la libertà, il ragazzino si imbatterà presto in un manipolo di amazzoni intente a scatenare una vera e propria rivoluzione. «È da troppo tempo che la Città di Smeraldo è governata da uomini» si affretta a spiegare Jinjur, la Generale che guida questa rivolta con il chiaro scopo di rivendicare il diritto delle donne di gestire il potere. In questo slancio progressista occorre però notare che l’autore non si allontana da un certo numero di stereotipi, malgrado la chiave fiabesca, considerando che tra le nobili cause della battaglia fa annoverare a Jinjur il fatto che le pietre preziose che adornano la città starebbero molto meglio su anelli e gioielli da portare al collo.

Eppure il discorso alle truppe non lascia molti dubbi: «Amiche, cittadine, ragazze […] stiamo per accingerci alla Grande Ribellione contro gli uomini di Oz! Marceremo alla conquista della città di Smeraldo per detronizzare il Re Spaventapasseri […] e per prendere potere sui nostri oppressori di un tempo». La rivolta ha successo e nasce una società simmetricamente ribaltata in cui sono gli uomini a svolgere i doveri di casa e altre incombenze. Il piccolo Tip partecipa agli eventi da spettatore, ma ben presto lo stato delle cose muta.

Quando il Re Spaventapasseri torna in città con l’amico di latta trova infelicità per gli uomini come prima era per le donne. La sottotraccia sembra essere quella del tema del buon governo, che in questa situazione nessuno dei presenti può risolvere. Probabilmente perché il trono spetta legittimamente a Ozma (comunque una donna!), dispersa da tempo. Con una serie di colpi di scena, innescati dall’arrivo di Glinda, la strega buona per eccellenza e signora di un matriarcato che ha sede nel suo stesso palazzo, si scoprirà che Ozma non solo non è scomparsa, ma si trova già nelle vicinanze. Altri non è che il giovane Tip, trasformato in maschietto dalla strega Mombi al fine di nasconderlo per sempre.

Dopo un’iniziale confusione, il ragazzo e le streghe operano la trasformazione che rende a Tip la sua identità con un’epifania particolarmente ricca di enfasi, che termina con una frase emblematica della rinata Ozma «Spero che nessuno di voi mi avrà meno a cuore di prima. Sono lo stesso Tip di sempre […]». Quest’ agnizione, e le pagine che la precedono, sono piuttosto potenti, tanto da aver portato lo scrittore Gore Vidal a un commento decisamente ironico, ripreso da Chiara Lagani nella sua introduzione «Se solo ai tempi di Baum fosse esistito, “Il Pta [Parent Teacher Association] avrebbe subito indetto una riunione plenaria. Che effetti poteva avere un libro del genere sulla percezione di un ragazzino di se stesso, come futuro uomo e futuro padre di famiglia? Avrebbe iniziato a desiderare, orribile pensiero, d’essere una femmina?”».

pubblicato sul numero 45 della Falla, maggio 2019