Arrivai a Bologna nel settembre del 1988, il mese successivo avrei compiuto vent’anni. Nei primissimi tempi mi concentrai su lezioni universitarie, ricerca di una stanza e lavoretti: l’inevitabile tran tran di uno studente fuori sede senza molti mezzi. Mentre familiarizzavo con la città, durante il mese di dicembre Bologna ospitò la Biennale dei giovani artisti dell’Europa e del Mediterraneo. Una manifestazione volta a mostrare le produzioni di una ventina di discipline diverse. Palazzo Re Enzo era diventato il luogo della musica e delle ore piccole. Sala Borsa, che per me era l’ufficio anagrafe, diventò un luogo di spettacoli con tanto di passerella per sfilate di moda. La città era posseduta da un’effervescenza e un entusiasmo collettivo che non saprei trasmettere in poche righe.

Ma il bello doveva ancora arrivare. In primavera comparve in giro, sui muri, un manifesto nero con una grande scritta rossa: OHSESSO. Sottolineata dalla dicitura “Cassero Porta Saragozza” e le date. Ne trovai uno ancora bagnato di colla. Lo staccai scrupolosamente dall’edificio e lo appesi in camera. Mi fu abbastanza chiaro che fosse giunto il momento di varcare quella soglia e smettere di credere di essere l’unico omosessuale al mondo.

Una sera ci andai, accuratamente accompagnato da un’amica, e sul piccolo palcoscenico Alessandro Fullin con una semplice tunica bianca interpretava la sua rivisitazione di una tragedia greca. Ne rimasi folgorato. L’omosessualità uscì dal torbido in cui solo un’ingenua mente ventenne come la mia poteva relegarla. E gli omosessuali divennero degli eroi. Non solo, ma decisi anche che dovevano diventare tutti amici miei. La rassegna in corso dal titolo tanto altisonante che ormai arredava casa, era tematizzata da una mostra collettiva di arte erotica, organizzata dal critico d’arte Dario Trento, carissimo amico del Cassero, scomparso nel 2015.

Il 1989 riservò ancora molte sorprese. Presto arrivò l’estate. E il Cassero avrebbe sfoggiato le sue iniziative sulla fresca terrazza. Mentre tutto il mondo festeggiava il bicentenario della Rivoluzione Francese, il circolo decise provocatoriamente di celebrare la monarchia. La rassegna estiva fu intitolata PERVERSAILLES. E il suo biglietto da visita, sia per gli avventori che per i passanti, consisteva in una mega ghigliottina, illuminata, e con lama sempre in movimento, collocata in cima al torrione sui viali di circonvallazione. Il baretto in terrazza fu trasformato in una carrozza e tutto lo staff organizzativo indossava ingombranti abiti del ‘700 per la festa d’inaugurazione. Tra le tante cose che accaddero su quella terrazza, ricordo bene che un amico mi indicò una persona dicendomi “Quello è Pier Vittorio Tondelli”. E da questa sua vicinanza e partecipazione derivò la mia lettura di tutte le sue opere.

Il 1989 fu per me l’anno in cui incontrai il Cassero e i suoi protagonisti. Quell’anno si concluse con l’accensione di un “carciofo” (origami celebrativo) davanti alla diretta tv del crollo del muro di Berlino. E con la svolta della Bolognina, dalla quale, ancora, non tutti si sono ripresi.

pubblicato sul numero 32 della Falla – febbraio 2018

immagine realizzata da Vinnie Palombino, del collettivo artistico Gli Infanti